Ieri, mentre il presidente della Federazione russa Vladimir Putin incontrava al Cremlino l’inviato americano Steve Witkoff, a Mosca atterrava anche il Consigliere per la sicurezza nazionale del governo indiano, Ajit Doval, che oggi avrà degli incontri con alcuni funzionari russi, e probabilmente anche con Putin. L’arrivo di Doval a Mosca ha coinciso con la firma di un ordine esecutivo da parte del presidente americano Donald Trump che tra 21 giorni aumenterà i dazi imposti contro l’India di un ulteriore 25 per cento – oltre al 25 per cento già previsto – come misura punitiva per New Delhi che continua ad acquistare petrolio russo finanziando indirettamente la guerra di Putin contro l’Ucraina. Secondo i media indiani, la visita di Doval in Russia era già prevista per discutere della cooperazione nel settore della Difesa e della sicurezza tra i due paesi, ma arriva in un momento particolarmente complicato per le relazioni fra Washington, Mosca e New Delhi. Consigliere per la sicurezza del primo ministro Narendra Modi sin dal 2014, Doval ha ottant’anni e alle spalle una carriera nell’intelligence e nel controspionaggio, da agente sotto copertura e da negoziatore: si è finto pachistano per sette anni, si è infiltrato nel Fronte nazionale Mizo, sostenuto da Pakistan e Cina, durante la rivolta del 1966, ha negoziato il rilascio di 154 ostaggi sul volo IC-814 dell’Indian Airlines che era stato dirottato il 24 dicembre del 1999 da militanti islamisti e portato a Kandahar, in Afghanistan. Doval indossa spesso gli occhiali scuri, e si è guadagnato il soprannome di “James Bond indiano” per il suo ruolo di capo delle spie che è durato però meno di un anno, tra il 2004 e il 2005. Ajit Doval è considerato il braccio destro di Modi, anche e soprattutto nelle posizioni riguardo al Pakistan e a tutti quelli che l’India considera i suoi nemici, compresa la Cina, ma finora aveva avuto sempre ottimi rapporti con le controparti occidentali – e soprattutto americane: Doval si definiva “amico” dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Biden, Jake Sullivan, oggi, come molti altri, non saprebbe nemmeno con chi parlare. A fianco del James Bond indiano, nel cerchio magico di Modi, c’è S. Jaishankar, ministro degli Esteri del governo dal 2019, una carriera diplomatica di successo, prima come ambasciatore a Pechino e poi a Washington. Jaishankar è l’uomo che secondo gli analisti indiani ha cambiato la comunicazione di New Delhi, sempre più esplicita nel mandare un messaggio al mondo molto preciso: l’India fa tutto quello che è nel suo interesse. E così Doval è a Mosca anche per preparare la visita al Cremlino di Jaishankar, che tra due settimane presiederà la riunione della commissione intergovernativa India-Russia per la Cooperazione commerciale, economica, scientifica, tecnologica e culturale (Irigc-Tec), il principale meccanismo di supervisione della cooperazione commerciale ed economica fra Mosca e New Delhi. Negli ultimi anni Modi ha lavorato per costruire relazioni diplomatiche sempre più strette con l’America e altri partner occidentali (soprattutto con l’Italia di Giorgia Meloni), anche in chiave anticinese, ma ha continuato a mantenere stabili le sue relazioni con la Russia, come la fornitura di armamenti e l’acquisto di petrolio a basso costo. Il primo ministro è volato a Washington a febbraio, e tutto sembrava rafforzare la strategia di avvicinamento. Poi però qualcosa si è rotto nelle relazioni. Dopo l’annuncio della Casa Bianca di nuovi dazi, il portavoce del ministero degli Esteri indiano Randhir Jaiswal ha detto: “Ribadiamo che queste azioni sono ingiuste, ingiustificate e irragionevoli. L’India intraprenderà tutte le azioni necessarie per proteggere i propri interessi nazionali”. Secondo diversi analisti indiani, parte del problema con Washington è emerso durante l’ultima crisi fra Pakistan e India, quando Trump si è intestato i negoziati e ha di fatto messo sullo stesso piano le istanze dei due paesi – New Delhi invece sostiene di essere la vittima del terrorismo pachistano, minacciata “esistenzialmente” da Islamabad. Secondo Harsh V. Pant, vicepresidente dell’Observer Research Foundation di New Delhi, “il viaggio di Doval a Mosca verterà principalmente sulla riaffermazione dei fondamenti di una partnership che è rimasta solida nel bene e nel male”, spiega il docente al Foglio, “nonostante alcune sfide che ha dovuto affrontare negli ultimi tempi a causa della guerra in Ucraina. Non credo che ci sia nulla di concreto da realizzare in tal senso, ma che si tratti più di inviare un messaggio agli Stati Uniti: l’India rimane impegnata nella sua partnership con la Russia e questo, nonostante le pressioni di Trump, non cambierà”. Secondo lo studioso, la posizione della Casa Bianca rischia di esacerbare il già presente sentimento anti americano in India: “Il fattore Pakistan”, dice, “getta benzina sul fuoco, perché non solo gli Stati Uniti non hanno avuto alcun ruolo nel cessate il fuoco, ma l’avvicinamento a Islamabad sta resuscitando in India l’idea che l’America è un partner inaffidabile, che continua a muoversi in più direzioni e che non ha la capacità di sostenere una relazione strategica a lungo termine con l’India”. Il quotidiano The Hindu ha scritto ieri che Doval “parlerà anche della consegna dei restanti sistemi missilistici S-400, che hanno svolto un ruolo importante durante il conflitto indo-pachistano”. E’ possibile che l’India offra alla Russia di abbassare ulteriormente i costi del petrolio in cambio del prezzo diplomatico che New Delhi dovrà affrontare: anche l’Unione europea sta pensando a nuove sanzioni secondarie contro le aziende indiane che acquisiscono greggio russo. L’escalation, però, è appena iniziata.
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