Kyiv. Ieri sera, di fronte al teatro Ivan Franko, a due passi da piazza Maidan, si sono ritrovati circa millecinquecento manifestanti. Le proteste per ripristinare l’indipendenza delle agenzie anti-corruzione non sono finite. I prossimi passi legislativi saranno decisivi per il futuro del paese. La giornata di mercoledì è trascorsa senza troppi allarmi della contraerea, ma un temporale estivo ha quasi allagato alcune delle strade principali della capitale ucraina. Il taxi che mi porta alla Kyiv School of Economics, dove insegno per una settimana un corso di teoria dei giochi, dribbla pozzanghere giganti. Alle 8 di sera il cielo minaccia altra pioggia. All’ingresso della piazza, diversi agenti controllano con discrezione la situazione, e alcuni di loro indossano un giubbotto giallo con la scritta “Polizia del dialogo”. La scelta di questo luogo per manifestare è strategica: da qui si intravedono in lontananza gli uffici del governo. Dal 2022, tutta l’area dei palazzi del potere è interdetta al pubblico per ragioni di sicurezza; questo è il punto più vicino da cui cercare di far sentire i propri slogan a chi oggi governa il paese. Perché scendere di nuovo in piazza? Come è noto, il 22 luglio il Parlamento ha approvato una legge che aboliva l’indipendenza delle due agenzie anti-corruzione del paese: il Dipartimento nazionale anti-corruzione e il Procuratore speciale anti-corruzione, qui noti a tutti con i loro acronimi, Nabu e Sapo. Dopo le proteste oceaniche della settimana scorsa in tutto il paese, Zelensky ha ammesso l’errore, “ascoltato la società civile” e proposto un nuovo testo che ripristina l’indipendenza delle due agenzie, sottraendole quindi all’autorità del Procuratore generale (una carica di nomina politica). Questa nuova legge recepisce le richieste delle ong e degli stessi dirigenti di Nabu e Sapo. La proposta è adesso all’esame del Parlamento e deve essere votata oggi dalla Camera. Vi sono fondati sospetti che diversi parlamentari vogliano affossare la nuova legge. Di conseguenza, il testo precedente rimane in vigore. Per questo la piazza del teatro Franko si è riempita di persone la sera di mercoledì 30 luglio. Ogni movimento inventa i propri simboli e usa colori distintivi. I ragazzi di Hong Kong che protestavano contro l’ingerenza della Cina nel 2014 passarono alla storia come il Movimento degli Ombrelli. Questo è il movimento degli slogan scritti con il pennarello su pezzi di cartone. Esiste già un sito che li raccoglie e li analizza (text.org). Questa sera gli slogan dei cartoni vengono urlati da un paio di giovani con il megafono, che indossano sulle spalle la bandiera ucraina, la quale un po’ li protegge dalla pioggia che va e viene. Di fianco a me, una ragazza mostra il suo cartone. Col pennarello ha scritto: “La corruzione uccide”. Si chiama Victoria e si è laureata lo scorso anno in economia a Kyiv. Ora lavora per un ufficio di consulenza. Le chiedo se conosce i giovani che guidano le danze col megafono: “No, non li conosco, penso che siano parte di un’associazione studentesca. Ma non importa. Il nostro movimento è senza leader”. Ogni volto qui cela storie difficili da raccontare: Victoria è nata a Bucha, da dove è riuscita a fuggire appena in tempo con la madre prima del massacro condotto dall’esercito russo, ma — aggiunge — altri membri della sua famiglia sono stati meno fortunati. Sarebbe impossibile sospettare questa tragedia dato il suo sorriso fiducioso. Mi giro e intravedo una signora sulla quarantina che mi saluta: è Maria Tomak, un’attivista per i diritti umani della minoranza tatara in Crimea. Con lei attraversai il confine durante il mio primo viaggio in Ucraina dopo l’invasione su vasta scala, nel marzo del 2022. “Questi ragazzi sono stupendi, il futuro del nostro paese”. Maria mi fa notare che gli slogan ripetuti a squarciagola sono molto precisi: per il ripristino delle due agenzie statali, per la nomina del candidato che ha vinto il concorso per il posto di direttore del dipartimento per la Sicurezza economica (il governo tergiversa perché il vincitore è percepito come troppo indipendente, anche se la versione ufficiale riguarda indagini sul suo passato familiare). Gli slogan continuano assordanti: “Votate per la legge”, “Parlamentari, tornate al lavoro” (il Parlamento, in teoria, è in vacanza), “Accendete le telecamere” (i lavori parlamentari non sono trasmessi per ragioni di sicurezza), “Giù le mani da Nabu e Sapo”. A un certo punto ci inginocchiamo per osservare un minuto di silenzio per le vittime della guerra. Poi si canta l’inno nazionale, con la mano sul cuore. “Il potere è del popolo”, e infine vengono proiettate sulla facciata del teatro queste parole: “Un pezzo di cartone può squarciare i muri”. Questa non è una manifestazione anti-Zelensky, come mi dicono tutti i miei interlocutori (infatti un paio di slogan contro di lui cadono nel silenzio generale). L’errore di Zelensky ha mostrato al mondo che la società civile ucraina è vigile e attiva. Poiché questa guerra continuerà a lungo, la politica fa il suo ritorno. I manifestanti non sono eterodiretti da chissà quale potenza, come vorrebbe una certa pubblicistica superficiale italiana. La lotta alla corruzione fu un fattore decisivo delle proteste di Maidan: la società civile cacciò il presidente corrotto (e filorusso) per entrare in Europa e per costruire un futuro libero dall’influenza di Mosca. Il potente vicino non poteva permettere questo esito e lanciò un’invasione su vasta scala. Questi ragazzi oggi sono in età per essere mobilitati e pronti a difendere una certa idea di paese, per “un’Ucraina unita e sovrana”, come recita un altro slogan. La manifestazione finisce verso le undici di sera, in tempo perché tutti possano tornare nelle loro case prima che scatti il coprifuoco a mezzanotte. Faccio gli ultimi metri verso il mio hotel con un signore nato nel 1938, un veterano delle proteste per l’indipendenza. Sembra felice. La pioggia ha risparmiato i manifestanti. Durante la notte, il cielo di Kyiv si illumina diverse volte, con scoppi assordanti di droni e missili che colpiscono le case. Siamo tutti costretti a scendere nei rifugi (quello costruito sotto il mio albergo è addirittura antiatomico). Quando riemergiamo all’alba, la città misura i danni. Le vittime sono almeno sette. La stazione centrale è chiusa, ma i treni arrivano al binario, anche se con ritardi. La lezione del giovedì inizierà circa mezz’ora dopo il previsto. Gli studenti postano sulla nostra chat le foto di appartamenti sventrati e di ferite provocate dalle schegge di vetro. La vita, la resistenza, continua, anche in una remota aula di università.
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