Neanche una settimana fa, la Nato ha preso ufficialmente il controllo dell’Aegis ashore missile defense system di Redzikowo, in Polonia, una base militare a circa 160 chilometri in linea d’aria a ovest dell’exclave russa di Kaliningrad, affacciata sul Mar Baltico. La base di Redzikowo, insieme al sito Aegis in Romania operativo sin dal 2016, ai cacciatorpedinieri della Marina americana del porto di Rota, in Spagna, e al sistema radar di allarme rapido istallato a Kürecik, in Turchia, fa parte dei quattro pezzi fondamentali dell’attuale sistema di difesa missilistica della Nato in Europa. Il sistema Aegis è prodotto dall’americana Lockheed Martin, e il sito in Polonia è un progetto vecchio, che nel 2009 l’Amministrazione Obama aveva quasi cancellato (voleva spostare le risorse di difesa per proteggersi dai missili a corto e medio raggio iraniani) e poi è tornato prioritario con il “New Force Model”, la trasformazione della Nato e della difesa europea concepita dopo l’invasione su larga scala dell’Ucraina da parte della Russia. Da allora però la situazione della sicurezza europea è cambiata di nuovo, e lo sanno soprattutto i paesi del fianco est della Nato, a cominciare da Polonia e baltici, fra i sette paesi membri dell’Alleanza che contribuiscono con ben più del 2 per cento del loro budget annuale alla Nato, insieme ad America, Regno Unito e Grecia. Tutti gli altri, Italia compresa, sono ancora al di sotto della soglia del 2 per cento mentre la situazione della sicurezza internazionale continua a cambiare molto rapidamente. (Pompili segue nell’inserto III) Ieri a Bruxelles, ospite dello European Policy Centre, il capo del Comitato militare della Nato, l’ammiraglio Rob Bauer, ha detto che siamo arrivati a un punto in cui il 2 per cento di spesa potrebbe non essere più sufficiente. In un discorso particolarmente franco, l’ammiraglio ha spiegato che l’unico modo per far funzionare l’adattabilità della difesa collettiva ai cambiamenti esterni, per far stare al sicuro le persone, è che “la nostra capacità produttiva cresca esponenzialmente”. Non solo. Secondo Bauer la prontezza dell’Alleanza non è mai stata così di alto livello, sappiamo dove si trova quello che dobbiamo difendere e sappiamo esattamente come difenderlo dalle minacce dei due nemici strategici – la Russia e i gruppi terroristici –, e sappiamo da almeno due anni che gli investimenti per attuare tutto questo “saranno più alti del 2 per cento”. Secondo Bauer la percentuale media per far sì che l’Alleanza sia in grado di fare tutto questo si aggira attorno al 3 per cento. Secondo la leadership della Nato, è questo il target che porterà a una maggiore distribuzione delle capacità e che dovrebbe consentire ai paesi europei di avere una autonomia operativa (e non strategica), spiega Bauer, nel caso in cui l’America “dovesse spostare le sue priorità strategiche nell’Indo-Pacifico”. Solo così i paesi europei e il Canada possono sviluppare capacità “che in questo momento hanno solo gli Stati Uniti. Ed è il risultato di un processo che va avanti da anni indipendentemente da qualunque elezione nazionale”, ha detto Bauer, che ha detto anche di aspettarsi “intense discussioni” con la nuova Amministrazione Trump. Il tema è molto complesso, ed è lo stesso funzionario della Nato ad ammetterlo: perché non solo stiamo producendo troppo poco, non è solo “quanto stai spendendo”, ma “quanto stai comprando”, perché nel frattempo i costi di produzione e acquisizione aumentano, i tempi di consegna aumentano, e l’industria europea non fa abbastanza. C’è un certo scetticismo, dentro alla Nato, sul fatto che il ritorno di Trump alla Casa Bianca possa portare davvero a un abbandono dell’Europa a se stessa. Il problema però è se l’America sarà disposta ancora a offrire tutto il necessario all’Europa nel momento in cui le sue priorità di difesa si sposteranno nell’Indo-Pacifico. Ieri il Financial Times ha pubblicato un lungo articolo sul tema, firmato da John Paul Rathbone, Henry Foy e Ben Hall, dal titolo: “L’Europa può difendersi senza l’America?”. Per il quotidiano l’industria europea si sta attrezzando, ma lentamente. I singoli paesi cercano di aumentare la spesa militare con grande difficoltà soprattutto nel sud Europa, come in Italia: c’è un problema politico e di scarsissima approvazione da parte dell’opinione pubblica. Il vantaggio della velocità – e del non dover spiegare ai cittadini misure impopolari – ce l’hanno come sempre le autocrazie. Edward Stringer, ex maresciallo della Royal Air Force, ha detto al quotidiano inglese: “Le truppe nordcoreane sono appena entrate in guerra in Europa, in Ucraina. La Russia sta ricevendo rifornimenti militari anche dall’Iran. E cosa hanno fatto i membri europei della Nato? Cadiamo senza riflettere su vecchi adagi consolatori: ‘Oh, ma noi abbiamo alleati e la Russia no’. Ma così si perde di vista quanto è cambiato”.
Continua a leggere su "Il Foglio"