“Musk contro Mattarella” o “Sandro Ruotolo dice no a Musk” già fanno ridere, son cose assurde, come quei film che andavano negli anni Sessanta e Settanta con titoli come “Totò contro Maciste” o “Ultimo tango a Zagarol”. Ma viviamo in tempi eccetera, e del resto se mettessimo in una sceneggiatura o romanzo un imprenditore americano pazzerello che critica un governo estero che sta costruendo villaggi mobili in un altro paese dove rimpatriare immigrati che poi vengono fatti tornare indietro per ordine dei giudici il produttore direbbe: no, dai, non ci crede nessuno (e poi troppi costi di produzione, pure con le navi da guerra, forse si potrebbe utilizzare il sistema “odimo”, cioè lo facciamo dire a degli attori senza metterlo in scena, così si risparmia. Chissà se Musk ha mai visto Boris). Eppure l’Assurdistan è qui, è tra noi, è il nuovo territorio politico-cultural-ideologico, dove Elon Musk è protagonista, sceneggiatore, tutto quanto. Ed è un mondo che spaventa e anche un pochino affascina, di certo cozzando con quello vecchio: è fantastico il clash, per esempio leggendo anche “i retroscena” del Quirinale che normalmente fungono da messaggi in bottiglia per la politica italiana e illustrano i malumori del Colle, come se Musk la mattina sfogliasse i quotidiani di Roma in cerca di virgolettati (ma invece Salvini difende Musk e sul sito di Beppe Grillo si ricorda “il filo rosso che unisce Musk al movimento Cinquestelle”, e su Ruotolo che abbandona il social, ci saranno stravolgimenti tra Washington e Starlink?). Non sono domande retoriche, tutto è possibile, e ormai abbiamo capito che dobbiamo abituarci ogni giorno a un livello di surrealtà sempre più spinto. Una surrealtà che abbatte le barriere, che frulla tutto insieme, con il Grande Twittatore che fa e disfa, risponde, come un Calenda coi codici nucleari e il ciuffo artificiale. Probabilmente quando questo pezzo andrà in stampa il presidente eletto dell’Assurdistan, Elon Musk, imprenditore come si suol dire “visionario”, ne avrà già combinate altre, nel fregolismo dell’epoca che viviamo e dei suoi protagonisti. Per ora la questione più interessante è che ha aggiunto alle sue cariche anche quella di capo del DOGE, titolo creato appositamente per lui, come capo di un “Department of Government Efficiency”, annunciato con un logo con sopra un cagnetto (ma ci torneremo in seguito, sul cagnetto). Musk insomma sarà una specie di braccio destro di Trump con delega alla semplificazione della burocrazia, un Brunetta per rimanere in tema di venezianità, coi superpoteri. Tanti già sperano in uno scontro di ego, insomma sempre Calenda, dove Trump sarebbe Renzi. Ma al GOP, il Grand Old Party, forse sono più furbi e non si scindono. Ma intanto cosa non sappiamo ancora di lui? Se tutti ormai recitano a memoria che è nato in Sudafrica, con un papà cattivo, che si è trasferito prima in Canada, paese della madre, poi negli Stati Uniti, infine in California, per il dottorato di ricerca a Stanford, che ha lasciato per cominciare a fondare startup come PayPal, insieme a un altro soggettone siliconvallico, Peter Thiel. Che non può essere presidente perché nato appunto in Sudafrica (altrimenti sarebbe presidente da un pezzo). Continua sul Foglio del lunedì
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