Dopo l'annuncio che le Forze di Supporto Rapido (Rsf) hanno preso il controllo di El Fasher, in Sudan, sono iniziate a emergere alcune evidenze di quelle che il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha chiamato atrocità: "esecuzioni sommarie" di civili che cercavano di fuggire dagli attacchi del gruppo paramilitare "con indicazioni di motivazioni etniche per gli omicidi". El Fasher era considerata l'ultima roccaforte nel Darfur occidentale ancora in mano all'esercito sudanese, ospita diversi gruppi tribali ed etnici, molti dei quali vivono in campi profughi: ieri, dopo più di un anno di assedio, il comandante Abdel Fattah al Burhan ha annunciato il ritiro dei suoi soldati dalla città. Questa regione del Sudan già all'inizio del secolo era stata devastata dallo stesso gruppo: con saccheggi, stupri, esecuzioni sommarie, pulizia etnica, carestia. Secondo l'agenzia delle Nazioni Unite per l'infanzia, prima dell'attacco di domenica, a El Fasher erano intrappolati 260.000 civili, metà dei quali bambini. Un video diffuso dagli attivisti locali mostra un combattente noto per aver giustiziato civili nelle aree controllate dalle Rsf mentre spara a bruciapelo a un gruppo di civili disarmati seduti a terra. Ieri l'Humanitarian Research Lab dell'Università di Yale, che monitora la guerra in Sudan utilizzando dati di intelligence open source e immagini satellitari, ha diffuso le immagini che provano le uccisioni di massa nella città da parte delle Rsf, in cui si vedono i corpi a terra e le zone rosse di sangue vicino ai veicoli delle Rsf e a un muro che circonda la città: il livello di violenza nella città è paragonabile alle prime 24 ore del genocidio in Ruanda, ha detto Nathaniel Raymond, direttore esecutivo del laboratorio di ricerca. Ai civili intrappolati viene negato un passaggio sicuro per uscire dalla città e, in molti casi, i pochi fortunati che riescono a fuggire devono camminare per sette giorni per raggiungere il campo più vicino. "Queste persone sono malnutrite, bambini o adulti, disidratate, alcune di loro ferite e, tutte traumatizzate dalla violenza", ha detto Denise Brown, coordinatrice delle Nazioni Unite per il Sudan. Si stima che oltre 150.000 persone siano morte a causa del conflitto, mentre altre 14 milioni sono state sfollate dalle loro case. Secondo Human Rights Watch, le immagini provenienti da El Fasher "rivelano una verità orribile: le Forze di supporto rapido si sentono libere di compiere atrocità di massa senza temere le conseguenze". Secondo un'esclusiva del Guardian, che ha potuto visionare i documenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, sui campi di battaglia del Sudan sarebbero state trovate anche attrezzature militari di fabbricazione britannica utilizzate dalle Rsf, tra cui sistemi di mira per armi leggere e motori per veicoli di trasporto delle truppe: sarebbero state fornite al gruppo dagli Emirati Arabi Uniti, già mesi fa il dossier era finito al Consiglio di sicurezza dell'Onu. Abu Dhabi ha negato le accuse, ma "gli investigatori del Consiglio di sicurezza hanno documentato in dettaglio la storia decennale degli Emirati Arabi Uniti nel dirottamento di armi verso paesi sottoposti a embargo e verso forze che violano il diritto umanitario internazionale", ha detto Mike Lewis, ricercatore ed ex membro del gruppo di esperti delle Nazioni Unite sul Sudan – già nel 2013 avevano fornito veicoli blindati alle milizie Zintani in Libia. L’ultimo report delle Nazioni Unite documenta una nuova, brutale pulizia etnica: cadaveri per le strade, violenze sessuali, esecuzioni di chi cerca di scappare, gruppi di persone in abiti civili accusati di essere sostenitori dell’esercito regolare e uccisi. La guerra in Sudan tra Abdel Fattah Abdelrahman Burhan e Mohamed Hamdan Dagalo detto “Hemedti” è iniziata il 15 aprile 2023 ed è diventata la peggiore crisi umanitaria al mondo, con decine di migliaia di morti e oltre 12 milioni di sfollati. Il paese ora rischia di essere spezzato a metà: dopo che l’esercito regolare ha riconquistato Karthoum, ora controlla l’est del paese, mentre le Rfs hanno dichiarato il loro governo in Darfur.
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