In seguito all'annuncio da parte della Casa Bianca di sanzioni contro le due maggiori compagnie petrolifere russe, Lukoil e Rosneft, Reuters ha scritto che le compagnie statali cinesi interromperanno le importazioni di petrolio russo via mare. Allo stesso tempo, l'India ha garantito agli Stati Uniti di ridurre drasticamente le importazioni di greggio russo. Per Mosca si tratta di una sfida significativa, anche se molto probabilmente non di una crisi irreversibile: Lukoil e Rosneft gestiscono circa il 50 per cento di tutta la produzione di petrolio russo, esportando 3,1 milioni di barili di petrolio al giorno, in gran parte verso acquirenti asiatici dopo le sanzioni occidentali introdotte all'indomani dell'invasione dell'Ucraina. Negli scorsi due anni, la Russia ha infatti consolidato nuove rotte energetiche verso l'Asia, con India e Cina che insieme assorbono oltre la metà delle sue esportazioni energetiche. Per questo l'annuncio di Washington è stato accompagnato dall'esplicito avvertimento che ci potrebbero essere sanzioni secondarie per gli acquirenti del gas e petrolio di Mosca. Per la Russia, lo stop cinese e indiano ha un duplice impatto. Da un lato, la riduzione degli approvvigionamenti marittimi da parte di Pechino si dovrebbe tradurre in una diminuzione di revenue a breve termine, poiché l'export via mare pesa per una quota importante (benché non maggioritaria) delle esportazioni dirette verso l'Asia. Dall’altro, la Russia vorrà accelerare l’espansione dell'export via terra, specialmente verso la Cina, con nuovi accordi e progetti infrastrutturali. A inizio settembre scorso, per esempio, è stato firmato un protocollo d'intesa fra la russa Gazprom e la cinese Cnpc riguardo alla creazione della "Power of Siberia 2", un mega gasdotto da 50 miliardi di metri cubi l'anno, che garantirebbe alla Cina – passando attraverso la Mongolia – forniture alternative rispetto alle costose rotte marittime. I volumi sono paragonabili a quelli che un tempo finivano in Europa e verranno forniti a prezzi più bassi rispetto a quelli praticati con i clienti occidentali. Manca ancora, però, la firma di un contratto di fornitura di gas per il progetto del nuovo gasdotto. Come spiega bene il think tank Iari, del resto, "il canale 'terrestre' ha due vantaggi: è meno visibile, perché non dipende da flotte, assicuratori marittimi e porti sotto giurisdizione occidentale; ed è meno esposto alla rete dei servizi finanziari e assicurativi in dollari ed euro che, nel trasporto via mare, diventano inevitabili". Nel 2025, la Cina ha importato in media 2,10 milioni di barili al giorno di petrolio russo, rappresentando circa il 47 per cento delle esportazioni russe di greggio, secondo i dati doganali cinesi. L'India ha importato in media 1,73 milioni di barili al giorno tra gennaio e settembre, secondo la società di analisi dati Kpler. Tuttavia è la decisione indiana quella che potrebbe avere conseguenze più gravi per Mosca rispetto allo stop cinese. Vediamo perché. L'impatto dello stop della Cina e dell'India sulle casse di Mosca Secondo fonti di Reuters, le principali compagnie petrolifere statali cinesi, tra cui PetroChina, Sinopec, Cncooc e Zhenhua Oil, hanno sospeso gli acquisti di petrolio russo trasportato via mare. Ma questo potrebbe non essere un colpo così drammatico per la Russia. Innanzitutto perché quella di Pechino è una mossa operativa che non ha portato, per il momento, ad annunci ufficiali. Secondo punto; le importazioni via pipeline, che ammontano a circa 900 mila barili al giorno, non sono state influenzate dalle ultime decisioni americane. Secondo la società di analisi Vortexa Analytics, citata da Reuters, le compagnie statali cinesi hanno acquistato via mare meno di 250 mila barili al giorno di petrolio russo nei primi nove mesi del 2025 (benché la società di consulenza Energy Aspects stimi un volume quasi doppio). Insomma, la sospensione riguarda solo una parte delle importazioni cinesi dalla Russia. Inoltre le raffinerie indipendenti cinesi – note come "teapot" (letteralmente teiere) e che rappresentano circa un quarto della capacità di raffinazione totale del paese – potrebbero continuare a importare dalla Russia, sebbene con maggiore cautela. E ancora, come segnala l'Atlantic Council, "le parti coinvolte nel commercio del greggio russo hanno impiegato circa tre anni per sviluppare una 'rete ombra' per le vendite, con volumi venduti tramite commercianti con sede a Dubai e altri, che probabilmente si rivelerà piuttosto resiliente". Il caso indiano è un po' diverso. Lo stop fa infatti parte di un negoziato per arrivare a un accordo commerciale, alle viste, con la Casa Bianca. Secondo fonti governative indiane, citate sempre da Reuters, le importazioni di greggio dalla Russia sono state dimezzate, passando da circa 1,7 milioni di barili al giorno a circa 850 mila barili al giorno. Nuova Dehli era il principale acquirente di petrolio russo via mare, con circa il 38 per cento delle esportazioni russe di greggio dirette nei porti indiani. La stretta rappresenta dunque una perdita molto significativa per Mosca, che potrebbe vedere diminuire le sue entrate e affrontare difficoltà nel trovare nuovi acquirenti per il greggio nel breve periodo. Anche i nuovi mercati – l'Africa, il Medio Oriente e l'America latina – che la Russia potrebbe sondare per tentare di mitigare i danni, potrebbero non essere in grado di assorbire l'intero surplus, lasciando Mosca con scorte in eccesso. Tuttavia, funzionari indiani hanno detto a Energy Intelligence, che spetta ai russi proporre soluzioni alternative e hanno fatto l'esempio delle sanzioni americane di gennaio contro Gazpromneft e Surgutneftegas: l'India ha continuato ad acquistare greggio, semplicemente non l'ha più acquistato direttamente da quei produttori ma tramite intermediari. In ogni caso, la perdita di entrate derivanti dallo stop combinato delle esportazioni energetiche da parte dei due giganti asiatici potrebbe influire negativamente sul bilancio statale russo e sulla capacità di Mosca di finanziare la guerra. Inoltre, la diminuzione della domanda potrebbe portare a un abbassamento dei prezzi del petrolio russo, riducendo ulteriormente le entrate per le casse del Cremlino. Anche il danno politico per Mosca è significativo: la sua dipendenza dai due giganti asiatici si traduce in una leva di negoziazione per Pechino e Nuova Delhi, che possono ora imporre condizioni più favorevoli o adottare strategie di acquisto più elastiche.
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