Sono tornati, gli Addams della politica internazionale, solo che sono veri e non governeranno stati immaginari. E manco un francobollo di terra, gli Stati Uniti. Dopo quattro anni in cui li si dava per certamente morti e varie traversie (un golpe tentato), processi, accuse di stupro, debiti, rieccoli. La storia ci ha messo a parte del suo più crudo insegnamento: nessuno è così invotabile da non poter essere votato. Ma non è un articolo politico, questo, sappiamo già tutto quel che si deve sapere e attendiamo senza tema i dazi. Ci saranno in questo prossimo paragrafo solo osservazioni pettegole e considerazioni oggi perlopiù classificabili come bodyshaming o altre pratiche scorrette. Bilancerò l’eventuale odio per le donne con odio per gli uomini in pari misura, soprattutto uno: the Donald. Non ci è rimasto molto da fare, all’opposizione liberale, che parlar male dei cattivi. Quindi lasciateci in pace. Donald. L’arancione. Mi ricordo negli intelligentissimi anni 90 quando ogni tanto faceva capolino alle tornate pre-elettorali, e la gente rideva, perché aveva le stesse possibilità di essere eletto di Stanlio e Ollio. Lo vedevi sbucare in qualche cameo di serie tv – “Sex and the City”, la Tata, il principe di Bel Air. Sempre in uniforme, riconoscibilissimo, milionario piacione con le vibes eighties. C’era in “Two Weeks Notice” con Hugh Grant, di solito nella parte di quello che sorride al party e dice dove ti versano lo champagne. Pacchianeria, questo era. Soldi che non ti fanno aristocratico, soldi che non fanno più evoluto il possessore, soldi che ti fanno foderare la casa di marmo rosa e mettere i rubinetti dorati. Non so cosa è successo per arrivare fin qui, al governo per la seconda volta, con un mezzo golpe all’attivo, Elon Musk l’amico dei computer con il suo social network che ormai è una banda armata. Donald, questo individuo che ora ha potere di vita o morte sulla guerra Russia-Ucraina, medio oriente, economia europea. Trump 2.0, l’estetica famigliare Donald Trump. Lo stile si è consolidato negli anni, con minime variazioni. Sostituita al riporto laterale un’onda di capelli viranti a centro-testa. Più mobilità, più vaporosi rispetto al 2021, e meno appiccicaticci sulle tempie con la lacca. E’ mezzo punto più scuro il biondo: serviva recuperare un grammo di gioventù, il parrucchiere ha fatto un buon lavoro spegnendo il platino. Non cambiano le scelte sartoriali: abito su misura scuro, cravatta rosso acceso o blu, molto b-movie-wall-street, serietà e potere, casual-formal-frescolana. Stabilmente massiccio l’uso di fondotinta e abbronzatura spray su pelle di corteccia. Il colorito artificiale è necessario al personaggio, è quello che lo tiene vivo. Orange is the colour of insanity, diceva quel pittore, ma il bianco Biden è il colore dei cadaveri. Ha avuto ragione lui. Ultime notazioni: meno correttore fluido per le borse agli occhi, rispetto alla vecchia presidenza. Melania Trump. Sarà stata nella formaldeide. Calma e composta l’abbiamo lasciata, calma e composta ci ritorna. Qualcosa di controllatissimo e qualcosa di spavaldo quando si toglie gli occhiali da sole e guarda in camera, sarebbe lo sponsor migliore di questa nuova presidenza, se solo non fosse la moglie di quello. Un tailleur grigio avvitato, giacca stupenda per festeggiare la vittoria. E’ diventata un ritratto a olio, non ha preso una ruga, un chilo, un’ombra sul viso. Subito dopo la sconfitta elettorale del 2021 ha approfittato delle varie denunce per molestie del marito per ulteriori ricatti di bella vita, e la cosa ha fruttato. Le fonti Cnn 2021 riportavano, da Mar-a-Lago “Va alla Spa, pranza, torna alla Spa (di nuovo) e cena con Donald sul patio. E così via, ogni giorno”. I pettegolezzi dicono che alla Casa Bianca non ci torna. Tiffany Trump. Sostituta morale di Ivanka, la quale preferisce fare l’imprenditrice defilata. Considerata la fatica per rientrare in società a New York l’ultima volta e liberarsi delle croste di indegnità paterna, ha abdicato alla sorella. Tiffany ha una personalità più semplice, quindi estetica più leggera, sperimentale. L’altra pareva intagliata nel legno, la Trump figlia piccola ha almeno gli occhi mobili, è meno cerea, quasi diresti che ci si può fidare. Rovinano un poco il quadretto di sufficienza le ciglia finte, l’espressione biondo-ingenuo da personaggio secondario della commedia romantica dove è l’amica a essere quella intelligente e senza fidanzato. Barron Trump. Faccia tristissima. Ed è tale e quale a papà. Elon Musk. Lo si osserva come si guardano le carte degli antichi egizi, senza capirci troppo, e meno male, col dubbio che siano cose degli alieni. Sfuggevolezza estrema del personaggio: chiama il migliore scrittore, e non saprà tradurre a parole la forma del viso, come sposta gli occhi, la curva da gatto che fa la bocca. Abiti tech-oriented, jeans, magliette e giacche da giovane e visionario. L’innovatore, dicono. Sensazione precisa che abbia mezza presidenza in tasca. Il vecchio (spaventatissimo) continente si affidi ai suoi padri penati. Ci resta solo Draghi.
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