L'ayatollah Ali Khamenei dice che l'Iran "non si arrenderà e che qualsiasi intervento militare" da parte degli Stati Uniti "causerà senza dubbio danni irreparabili". Il discorso televisivo di oggi della Guida suprema iraniana cancella ogni illusione sul fatto che la Repubblica islamica fosse sul punto di chiedere la pace. Il conflitto in medio oriente ha ormai raggiunto un punto critico e ciò che Donald Trump deciderà di fare o non fare condizionerà gli sviluppi futuri della regione, come scrive tra gli altri anche Ian Pannell, il capo corrispondente estero di Abc News: "Israele e Iran sono impegnati in una battaglia esistenziale che nessuno dei due può permettersi di perdere. Non esiste una via d'uscita facile o rapida". Il regime iraniano è in gravissime difficoltà, colpito al cuore non solo dai continui attacchi aerei israeliani degli ultimi giorni, ma anche dallo smantellamento dei suoi proxy in Libano, Siria e a Gaza. Tuttavia il regime degli ayatollah non è Hamas e non è Hezbollah. È un nemico molto più potente e in grado di rispondere con violente rappresaglie missilistiche, alcune delle quali riescono ad arrivare all'obiettivo, come abbiamo visto. Secondo fonti del Washington Post, senza rifornimenti americani o un maggiore coinvolgimento di Washington, Israele può mantenere la sua difesa missilistica per altri 10-12 giorni e già entro la fine della settimana lo stato ebraico potrebbe essere in grado di intercettare solo una parte minore di missili per razionare le sue munizioni difensive. Inoltre, Teheran può provocare ancora molti danni anche con altri mezzi. Come ha scritto Frank Gardner, inviato di guerra per la Bbc ed esperto di sicurezza internazionale, se gli Stati Uniti attaccassero l'Iran, in cima alla lista degli obiettivi iraniani ci sarebbero le numerose basi americane nel Golfo. Il quartier generale della Quinta Flotta della Marina americana a Mina Salman, in Bahrein, è un obiettivo ovvio, ma lo sono anche quelle in Iraq e Kuwait. Se il regime iraniano sentisse che la sua stessa sopravvivenza è in pericolo, o se decidesse che i suoi vicini arabi sono complici dell'attacco, potrebbe essere tentato di colpire gli impianti di desalinizzazione, i terminali di esportazione del petrolio o addirittura di minare lo Stretto di Hormuz, soffocando quasi il 30 per cento delle riserve mondiali di petrolio. Il massiccio attacco con droni del settembre 2019 contro l'industria petrolchimica saudita è un esempio di una vulnerabiltà che potrebbe mettere in crisi l'economia globale. Del resto quella di Trump è una scelta che ha degli ostacoli anche interni. Dopo un incontro con i suoi consiglieri per la sicurezza nazionale tenutosi martedì nella Situation Room della Casa Bianca il presidente americano starebbe valutando la possibilità di intervenire militarmente. Un potenziale obiettivo potrebbe essere il sito di arricchimento dell'uranio di Fordo, che si trova in profondità nel sottosuolo, ma solo gli americani hanno la bomba da 13 tonnellate in grado di distruggerlo. Ma se da una parte i sostenitori della dottrina "America First" gli ricordano che si è impegnato a tenere gli Stati Uniti fuori da "guerre eterne" come quelle in Afghanistan e Iraq, altri falchi del partito stanno incitando Trump ad attaccare l'Iran. A volere fare un nome di peso, per esempio, il senatore della Carolina del Sud Lindsey Graham – consigliere informale del presidente in politica estera durante il primo mandato – ha detto che è nell'interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti impedire all'Iran di ottenere una bomba nucleare. La situazione sul campo intanto è sempre critica. Nella notte Israele ha colpito due siti iraniani di produzione di centrifughe per l'arricchimento dell'uranio, il complesso Tesa di Karaj e il Centro di Ricerca nucleare di Teheran. La conferma arriva dall'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea). "Entrambi i siti erano sottoposti a monitoraggio e verifica da parte dell'Aiea nell'ambito del Jcpoa", scrive l'agenzia Onu su X. "Nel sito di Teheran, è stato colpito un edificio dove venivano prodotti e testati rotori per centrifughe avanzate. A Karaj, sono stati distrutti due edifici dove venivano prodotti diversi componenti per centrifughe". Non solo siti nucleari, ma anche un'università di Teheran è stata presa di mira dagli attacchi di questa notte. Lo riportano i media britannici, precisando che si tratta della Imam Hossein, un ateneo finanziato dai pasdaran alla periferia est della capitale. Le ultime immagini satellitari che arrivano dalla società Maxar sembrano mostrare ingenti danni anche alla base missilistica di Tabriz, con almeno nove edifici e due ingressi di tunnel distrutti. Molti altri sono gravemente danneggiati. Altre foto satellitari mostrano i danni dei missili e droni isareliani sull'aeroporto di Mashhad, seconda città per popolazione che si trova nell'est del paese, al confine con il Turkmenistan.
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