Cosa sta succedendo nel mondo dello streaming e del cinema? Vi proponiamo una selezione di articoli che spiegano la battaglia per Warner Bros: dalle offerte multimiliardarie di Netflix e Paramount, alle implicazioni economiche, culturali, dalle diatribe con l'antitrust fino alle tensioni interne a Hollywood e alle strategie future dei giganti dell’intrattenimento. Tutto quello che devi sapere per orientarti in questa guerra tra colossi. La lettera di Netflix agli azionisti della Warner Oggi i ceo di Netflix, Greg Peters e Ted Sarandos, hanno inviato una lettera agli azionisti della Warner Bros, dopo che il cda della casa di produzione li ha sollecitati ad approvare l'accordo con la società di Los Gatos, definendolo la migliore opzione per un valore a lungo termine, invitandoli quindi a respingere l'offerta ostile di Paramount, in quanto "inferiore" a quella di Netflix. I due amministratori delegati dicono che Netflix ha accolto con favore la raccomandazione del cda. L’accordo, annunciato il 5 dicembre, valuta WB 27,75 dollari per azione, per un valore d’impresa di circa 82,7 miliardi di dollari, e prevede anche “valore incrementale” dalla futura separazione di Discovery Global. Netflix sottolinea la “superiore certezza finanziaria” dell’operazione, priva di “contingenze, fondi sovrani esteri o prestiti personali”, e la fiducia nelle approvazioni regolatorie, dimostrata da una penale di recesso regolatorio da 5,8 miliardi di dollari, “la più grande mai vista in un’operazione pubblica di M&A”. Al contrario, l’offerta PSKY sarebbe gravata da “numerosi rischi e incertezze”. Sul fronte antitrust, Netflix sostiene di non essere dominante: negli Stati Uniti è “al sesto posto per quota di visione tv”, con l’8 per cento, che con l'acquisizione salirebbe al 9,2, “ancora sotto YouTube e Disney”. L’operazione viene definita “pro-consumatore, pro-innovazione, pro-creatori e pro-crescita”. Infine, Netflix si presenta come “la casa giusta per Warner Bros”, promettendo di preservarne l’eredità, rafforzare l’industria e offrire “più valore per azionisti, creatori e pubblico globale”. Leggi qui La battaglia per la Warner Bros è il preludio alla vera guerra dello streaming La possibile vendita di WB a Netflix o Paramount, per una cifra vicina ai 100 miliardi di dollari, è descritta dall’Economist come “un altro avvincente dramma prodotto da Hollywood”, con protagonisti miliardari ambiziosi, misteriosi investitori sauditi e persino “un cameo del genero del presidente”. Ma dietro questa battaglia tra colossi dello streaming si cela una storia più ampia: la vera concorrenza non è solo tra studi, bensì tra Hollywood e i contenuti indipendenti. Nonostante i miliardi spesi in film e serie, il pubblico dedica sempre più tempo a video “prodotti fuori da Hollywood, spesso da amatori”, con YouTube che “rappresenta il 28 per cento dello streaming su tv negli Stati Uniti, contro il 19 per cento di Netflix”. Anche su smartphone, il consumo di video amatoriali cresce costantemente. Le differenze tra produzioni professionali e contenuti amatoriali si stanno riducendo: la tecnologia ha permesso ai video social di essere visti in tv, gli studi spostano contenuti dal cinema alla televisione o allo smartphone, e i modelli di business convergono, con piattaforme streaming che introducono pubblicità e social che lanciano abbonamenti. "Le piattaforme di streaming cercano nuovi pubblici", scrive il settimanale britannico, "e man mano si stanno spostando oltre gli abbonamenti per puntare sulla pubblicità, un tempo territorio esclusivo dei social media. Allo stesso tempo, le piattaforme social stanno spingendo verso gli abbonamenti; i piani senza pubblicità di YouTube (che includono la musica) vantano oltre 125 milioni di abbonati, più o meno la stessa cifra di Warner Bros". Anche i contenuti si mescolano: Amazon Prime Video produce una serie con MrBeast, Netflix trasmette podcast video, e YouTube realizza chatshow come “Chicken Shop Date”, sottraendo pubblico alla televisione tradizionale. L’Economist sottolinea che “Hollywood dice che i suoi contenuti premium prevarranno”, ma chi acquisterà Warner dovrà affrontare una sfida più ampia, in un mercato dove professionisti e creatori indipendenti si contendono la stessa attenzione. Leggi qui Un'altra farsa della Warner Bros.? La storia si ripete. La battaglia per Warner Bros richiama eventi passati, scrive Holman W. Jenkins, Jr, in un'op-ed sul Wall Street Journal. “La cornucopia di proprietà di Hollywood e dello streaming era stata sottoposta a revisione per fusione già durante la prima amministrazione Trump”. Allora, come oggi, si registrava un’ingerenza politica. “Il presidente che si intromette nei procedimenti? Fatto. Trump che si lamenta della ‘fake news’ di CNN e chiede cambiamenti al management? Fatto”. Gli esecutivi avevano persino cercato di aggirare i regolatori, con AT&T che nel 2017 aveva assunto Michael Cohen “nella speranza di influenzare il presidente”. L’articolo sottolinea il ruolo ambiguo dei regolatori: Makan Delrahim, allora neo-nominato, aveva inizialmente dichiarato che la fusione AT&T-Time Warner “non presentava problemi”, ma poi aveva criticato rimedi comportamentali applicati in precedenti grandi deal mediatici. La corte, giudicando il caso, aveva definito le argomentazioni governative come “speculative, basate su assunzioni non dimostrate o non supportate”. Oggi, il team Ellison ha assunto Delrahim a supporto dell’offerta Paramount, con un vantaggio strategico: “Poiché siamo amici di Trump, gli azionisti di Warner possono aspettarsi di ricevere i loro soldi rapidamente e senza gli ostacoli regolatori e il rischio che AT&T ha affrontato sotto la precedente amministrazione Trump”. L'editorialista evidenzia come le passate azioni dell'Amministrazione abbiano mostrato i rischi della politicizzazione delle fusioni. La vicenda AT&T “si riflette negativamente sulla gestione aziendale statunitense, sulla governance e sull’ambiente regolatorio sempre più politicizzato e non patriottico in cui operano”. Oggi, Netflix e gli altri soggetti sanno “in cosa si stanno cacciando”, ma la strategia di Trump potrebbe dipendere da fattori variabili, dai negoziati in Ucraina alle elezioni di midterm, rendendo il percorso per l’approvazione dell’offerta incerto e complesso. Leggi qui Con chi compete davvero Netflix? Business Insider spiega perché il caso pone una questione fondamentale: con chi compete davvero Netflix? L’eventuale acquisizione di Warner Bros darebbe alla società di Los gatos troppo potere?. La risposta, osservano analisti ed esperti antitrust, dipende soprattutto da “come si definisce il mercato in cui Netflix compete”. È il solo streaming a pagamento, dove Netflix è dominante, oppure l’intero tempo di visione televisiva, che include TV tradizionale e video social? O persino il sonno, come suggerì provocatoriamente Reed Hastings? Paramount Skydance definisce l’operazione “anticoncorrenziale”, sostenendo che danneggerebbe consumatori e talenti di Hollywood. Netflix replica proponendo una definizione ampia del mercato: “anche dopo la combinazione con Warner Bros., la nostra quota di visione negli Stati Uniti passerebbe solo dall’8per cento al 9 per cento, restando ben dietro YouTube (13 per cento) e una potenziale combinazione Paramount/WBD (14 per cento)”, hanno scritto i co-ceo citando dati Nielsen. Convincere i regolatori, però, non sarà semplice. Secondo Anthony Palomba, “le autorità antitrust probabilmente definiranno il mercato in modo restrittivo”, trattando lo streaming come “un’arena competitiva separata” da TV lineare e piattaforme social. In questo scenario, Netflix e HBO Max rappresenterebbero il 39% dei ricavi dello streaming in abbonamento negli Stati Uniti, una quota che storicamente “attira l’attenzione del governo”. C’è poi il fattore politico: Trump ha detto che l’operazione “potrebbe essere un problema”, perché Netflix ha “una quota di mercato molto grande”. Secondo Reuben Miller, l’offerta “sarà contestata e litigata” a meno che Netflix non riesca a convincere l’amministrazione. Se però si includono anche i servizi gratuiti, la posizione di Netflix migliora. YouTube domina la visione televisiva e, includendo free streamer come Tubi o Roku Channel, Netflix e HBO Max insieme arrivano “a poco più di un quinto” dei minuti di streaming. Resta il dibattito: per alcuni “paragonare Netflix a YouTube è come confrontare mele e arance”, ma altri ricordano che “dieci anni fa si diceva lo stesso di tv lineare e streaming”. Leggi qui La vendita della Warner Bros ha senso sulla carta. Ma a quale prezzo? La decisione di WB di mettersi in vendita appare “strategica e al tempo stesso malinconica”, scrive su Bloomberg Paul Hardart, già dirigente di Universal e Warner, oggi direttore del programma di "Intrattenimento, media e tecnologia" presso la Stern School of Business della New York University. Sul piano finanziario “ha perfettamente senso su una lavagna nell’ufficio di un ceo”: serve ad affrontare debito elevato, cambiamenti nelle abitudini del pubblico e pressioni degli azionisti. In un mercato che “premia la scala”, una fusione con potenziali acquirenti come Paramount Skydance, Comcast, Amazon o Netflix prometterebbe “efficienza, risparmi sui costi e maggiore leva”, mentre l’IP di Warner e la base abbonati di HBO Max rappresentano “il vero premio”. Ma l’autore avverte che “ciò che si perde creativamente, culturalmente e per i consumatori viene spesso oscurato” dal linguaggio delle sinergie. Le grandi fusioni “continuano a erodere l’ecosistema condiviso di Hollywood”, trasformando l’industria in una sorta di “tragedia dei beni comuni”: ogni operazione è razionale singolarmente, ma “collettivamente corrosiva”. Non a caso la Writers Guild of America ha definito qualsiasi fusione che coinvolga Warner Bros. “un disastro per gli sceneggiatori, i consumatori e la concorrenza”. Le conseguenze sono prevedibili: “meno acquirenti per le sceneggiature, minore propensione al rischio creativo e meno spazio per voci distintive”, soprattutto quando studi storicamente innovativi finiscono “assorbiti in conglomerati che fanno soldi altrove”, come Fox in Disney o MGM in Amazon. Anche per il pubblico l’impatto sarà profondo: se si riducono le opportunità di approvare nuove storie, “inevitabilmente meno specchi vengono offerti alla società”. In un contesto politico complesso, Warner dovrà scegliere l’accordo “con le maggiori probabilità di superare i regolatori”, e Paramount appare avvantaggiata grazie ai legami degli Ellison con Trump. Ma la domanda finale resta aperta: non solo se l’operazione “funziona sulla carta”, bensì se Hollywood potrà restare “un luogo dove le nuove idee trovano spazio per respirare”. Leggi qui
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