Nuova Delhi, dalla nostra inviata. In una sola settimana, l’India ha ricevuto un piano d’investimenti da oltre 50 miliardi di dollari tutti dedicati all’AI: “Quando si parla di intelligenza artificiale, il mondo è ottimista sull’India”, ha detto martedì il primo ministro Narendra Modi dopo l’annuncio del più grande investimento mai effettuato da Microsoft in Asia – 17,5 miliardi di dollari “per contribuire a costruire l’infrastruttura, le competenze e le capacità sovrane necessarie per un futuro incentrato sull’intelligenza artificiale in India”, ha annunciato il ceo dell’azienda, Satya Nadella, in una visita di quattro giorni tra Delhi, Bangalore e Mumbai. Nadella è di origine indiana e già a gennaio aveva iniziato con un investimento di tre miliardi di dollari per trasformare il paese in “AI first”, nella formazione di dieci milioni di indiani sull’intelligenza artificiale entro il 2030 e in una nuova “regione cloud iperscalabile”, ovvero un cluster di data center a Hyderabad, la città in cui è nato. Il giorno dopo l’annuncio di Nadella, Amazon ha alzato la cifra, annunciando un investimento di oltre 35 miliardi di dollari entro il 2030 dedicato “all’espansione delle capacità di intelligenza artificiale, al miglioramento delle infrastrutture logistiche, al supporto alla crescita delle piccole imprese alla creazione di posti di lavoro”. Anche l’azienda di Jeff Bezos aveva già investito quasi 40 miliardi di dollari nel paese, mentre a ottobre Alphabet, la società madre di Google, ha stanziato 15 miliardi di dollari per costruire un hub di dati AI nello stato dell’Andhra Pradesh, nell’India meridionale. Così in pochi mesi lo stato indiano è diventato uno dei mercati più grandi nell’AI, attirando le principali aziende soprattutto grazie al suo numero di utenti. OpenAI ad agosto ha formalmente istituito una sua unità indiana e annunciato l’intenzione di aprire il suo primo ufficio a Nuova Delhi entro la fine dell’anno. Per Sam Altman l’India ha “tutti gli ingredienti per diventare un leader globale nell’AI: straordinari talenti tecnologici, un ecosistema di sviluppatori di livello mondiale e un forte supporto governativo”, cioè “IndiAI”, la missione lanciata nel 2024 dal governo di Delhi per sviluppare un modello di intelligenza artificiale “made in India” che renda la più grande democrazia del mondo un riferimento globale per l’AI, “fatta in India per l’India”. “Piattaforme basate sull’intelligenza artificiale come Hashim, IndiAI e Smart Solutions stanno posizionando l’India come leader globale sulla mappa mondiale dell’intelligenza artificiale”, dice al Foglio Abhay Karandikar, responsabile del dipartimento di Scienza e Tecnologia del governo indiano, “grazie a una cooperazione tra istituzioni e startup guidata dall’Indian Institute of Technology Bombay, una delle principali università del paese”. Il modello linguistico indiano, secondo Karandikar, supporterebbe già nove lingue ma punta a raggiungerne 22 entro il summit sull’intelligenza artificiale che si terrà il prossimo febbraio a Nuova Delhi, l’India-AI Impact Summit 2026, il primo vertice globale sull’intelligenza artificiale nel Sud globale. Nonostante il numero di utenti e gli investimenti, privati e pubblici, nella corsa indiana all’AI sono previsti anche alcuni rallentamenti: la maggior parte dei migliori talenti indiani si trasferisce all’estero per mancanza di sussidi, racconta Karandikar, anche lui ingegnere, creando un paradosso: i talenti nati nel paese contribuiscono al progresso di altri paesi, soprattutto gli Stati Uniti. Un altro rallentamento è rappresentato dalla mancanza di energia elettrica ininterrotta, gli elevati costi energetici e la scarsità d’acqua in diverse regioni del paese. Secondo Jhanvi Tripath, analista all’Observer Research Foundation di New Delhi, “l’India è il più grande consumatore di intelligenza artificiale, ed è per questo che diventa così importante avere le nostre infrastrutture e i nostri data center. Ma il problema è che, ancora una volta, sono altamente inquinanti”.
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