Il rebranding del dipartimento della difesa statunitense in dipartimento della guerra non passa solo dal nome o dalla prestanza fisica dei militari – “Non possiamo vedere generali e ammiragli grassi”, ha detto qualche tempo fa il segretario fisicatissimo Pete Hegseth, una delle nomine governative più controverse di Donald Trump. Il rebranding passa anche dal rapporto con la stampa americana e straniera, che per volere del segretario dovrebbe essere più in linea con l’atteggiamento generale che ha la Casa Bianca con i giornalisti, come si è visto quando è stato ristretto l’accesso alla Associated Press perché non voleva chiamare “Golfo d’America” il golfo del Messico. Il Pentagono questo mese ha chiesto ai media accreditati di firmare un documento che limiterebbe le informazioni condivisibili, oltre che l’accesso a certe aree del Pentagono, e, fondamentale per il mestiere, sollecitare informazioni da fonti interne al dipartimento. Questo preoccupa anche i dipendenti del Pentagono che potrebbero dover affrontare “severe conseguenze criminali” nel condividere informazioni con la stampa, “senza previa autorizzazione”. Nel documento originale, parte poi revocata, i giornalisti dovevano anche permette di far leggere i pezzi al dipartimento prima della pubblicazione, pratiche staliniane. “L’accesso al Pentagono è un privilegio, non un diritto”, ha scritto Hegseth su X. I primi a ribellarsi sono stati il sito di destra Newsmax e il Washington Post di Jeff Bezos, citando il primo emendamento sulla libertà di espressione. Poi, scaduti i termini di tempo per firmare l’accordo, i giornalisti di oltre trenta testate hanno preferito perdere l’accredito al dipartimento pur di non sottostare alle richieste di Hegseth che, secondo la associazione della stampa del Pentagono, sono “incostituzionali”. Ora praticamente a tutti – Guardian, Wall Street Journal, l’Atlantic, Reuters, Cnn, Politico, Bloomberg, CBS, ABC, addirittura Fox News… – sono stati tolti i badge per entrare nelle sale stampa del Pentagono. I giornalisti hanno infilato le loro cose negli scatoloni e sono usciti dal gigantesco edificio sul fiume Potomac, il più grosso dipartimento militare del mondo. Sulla spianata si sono visti decine di reporter con scatole di cartone in mano, senza più badge al collo. Una giornalista ha detto che è andata in macchina al lavoro, la mattina, anche se di solito prende la metro, perché sapeva di doversi portare via tutta la roba accumulata lì in decenni di corrispondenza. Molti di loro hanno annunciato che continueranno a riportare notizie da lì fuori, ma in pochissimi (tra cui One America News, network di estrema destra) hanno deciso di sottostare ai tentativi di Hegseth di controllare la stampa. Il documento voluto dal segretario, a sua volta ex volto di Fox News avrebbe anche vietato di pubblicare documenti segreti, o anche alcuni solo in parte “classified”, andando contro i diritti garantiti da una decisione della Corte Suprema del 1971, quando fu permesso al New York Times e al Washington Post di pubblicare i Pentagon Papers sulla guerra in Vietnam. “E’ triste ma sono anche molto orgogliosa che siamo stati tutti uniti”, ha detto Nancy Youssef dell’Atlantic, che aveva un ufficio al Pentagono da quasi vent’anni, mentre infilava una grossa mappa incorniciata del medio oriente nel bagagliaio.
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