Il ritorno degli ostaggi restituisce le coordinate della verità su una guerra dominata dalle imposture

14/10/2025 04:00 Il Foglio

Le immagini di gioia, di festa, di commozione e di sollievo arrivate ieri mattina dalle piazze di Israele, piazze che dopo 738 giorni  hanno potuto riabbracciare gli ultimi ostaggi che erano rimasti in vita nei tunnel dei terroristi di Hamas, sono immagini che fotografano un sentimento genuino di libertà che rallegrano inevitabilmente chi in questi due anni di guerra ha auspicato l’arrivo benedetto della pace senza la pericolosa vittoria del pacifismo. La pace che arriva attraverso la liberazione dei volti degli ultimi ostaggi barbaramente sequestrati il 7 ottobre 2023 dopo il pogrom di Hamas in Israele è una pace all’interno della quale si ristabiliscono inevitabilmente alcune coordinate della verità indigeste ai professionisti del pacifismo. La pace arriva non grazie al cedimento a Hamas, non grazie all’arrendevolezza di fronte alle sue battaglie, non grazie alla celebrazione del 7 ottobre attraverso il riconoscimento della Palestina senza liberazione degli ostaggi, ma avviene grazie alle pressioni fatte sui terroristi, grazie alla richiesta della loro resa, grazie al lavoro fatto anche dai paesi arabi che hanno scelto di abbracciare il piano di Trump per provare a lavorare insieme all’America per un medio oriente in grado di mettere da parte non solo la tragedia di Gaza ma anche la stagione del terrore.     La stagione del sangue, dei pogrom finanziati e supportati dallo stesso asse del male che, avendo minacciato la libertà di Israele, ha minacciato anche quella del mondo libero e dei suoi nuovi e vecchi alleati. La pace che passa attraverso la liberazione degli ostaggi è un pugno nell’occhio rifilato a tutti i pacifisti che hanno coccolato l’idea che la resistenza di Hamas potesse aiutare a spazzare via Israele dalla storia e che sotto sotto hanno considerato l’utilizzo delle armi del terrore non come minaccia alla libertà del mondo ma come strumento legittimo di rivendicazione di una causa giusta.   Ristabilire le coordinate della realtà significa ristabilire con chiarezza chi in questa guerra è stato l’aggredito e chi è stato l’aggressore. Significa ricordare chi in questa guerra ha combattuto per uccidere volontariamente i civili e chi ha combattuto per eliminare deliberatamente i terroristi. Significa ammettere che da una parte del conflitto vi era un territorio che insieme agli ostaggi rapiti in Israele il 7 ottobre ha tenuto in ostaggio una popolazione intera non dal 2023 ma dal 2007, anno in cui Hamas con un colpo di stato si è impadronito del controllo della Striscia, usando i civili come scudi umani, utilizzando le associazioni umanitarie come un asset per la propria resistenza, e che dall’altra parte invece vi era e vi è sempre stata e vi sarà ancora una democrazia con tutti i suoi limiti, i suoi difetti, eventualmente i suoi crimini, che anche durante la guerra si è divisa, si è lacerata, si è messa in discussione, ha criticato il suo commander in chief, ha schierato contro di lui batterie di giornali, partiti politici, militanti, attivisti, e che oggi si ritrova tutta a difendere non la vittoria di un leader, Netanyahu, ma la vittoria di un paese, Israele, che resta l’unica democrazia del medio oriente, l’unica che sa mettersi in discussione, l’unica che sa criticare se stessa, l’unica in grado di dare ai cittadini arabi, anche a quelli palestinesi che vivono in Israele, a proposito di presunte finalità genocidarie, la possibilità di votare, di scegliere i propri rappresentanti, di vivere in libertà.     Ristabilire le coordinate della libertà e della verità è doloroso per chi ha tentato di costruire attorno a ciò che rappresenta Israele imbrogli, inganni, imposture, trasformando gli aggrediti in aggressori e gli aggressori in aggrediti, e chi ha a cuore le coordinate della verità non può non essersi rallegrato ieri ascoltando gli interventi alla Knesset. Interventi, naturalmente, come quello di Donald Trump, non esattamente un professionista della verità ma piuttosto della postverità, che ieri però ha celebrato in Parlamento, in Israele, l’attuazione dei primi passi del piano di pace mettendo di fronte al volto del mondo libero un tema difficilmente contestabile. Ora, ha detto Trump, dovrebbe essere chiaro a tutti, in tutta la regione, che decenni di fomentazione del terrorismo e dell’estremismo, del jihadismo e dell’antisemitismo non hanno funzionato, hanno solo ucciso e si sono completamente e totalmente ritorti contro, e da Gaza all’Iran, quegli amari odi non hanno portato altro che miseria, sofferenza, fallimento e morte, non sono serviti a indebolire Israele, ma ad annientare le forze stesse che per prime hanno alimentato quest’odio.   a interventi, soprattutto, a proposito di menzogne messe da parte, riportate alla loro giusta dimensione, quella dell’impostura, come quello offerto dal capo dell’opposizione Yair Lapid, che da nemico giurato del governo Netanyahu non si è limitato a ringraziare il presidente americano, e anche quello israeliano, per aver riportato a casa gli ostaggi, ma ha aggiunto qualcosa di più, ricordando a suo modo quale differenza c’è fra tifare per la pace ed essere professionisti miopi del pacifismo cialtrone. “Parlo a tutti coloro che hanno manifestato contro Israele negli ultimi due anni, a Londra e a Roma, a Parigi e alla Columbia University: io non rappresento il governo, sono il capo dell’opposizione, eppure vi dico: siete stati ingannati. La verità è che non c’è stato alcun genocidio. Non c’era alcuna intenzione di far morire di fame. La verità è che c’erano uno stato e un esercito che hanno combattuto nelle condizioni più impossibili, contro terroristi che mandano i loro figli a morire per un’immagine, che usano le persone come scudi umani”.   La pace che passa dalla restituzione degli ostaggi, e dai prigionieri palestinesi arrestati negli anni da Israele, è una pace che ristabilisce le coordinate della verità anche per un’altra ragione: scarica il peso della pace futura, prima di tutto, sulle spalle dei terroristi di Hamas, cui spetta ora il compito di rispettare i patti, di togliersi di mezzo da Gaza, di mettere da parte le proprie armi e di poter dare finalmente un futuro a un popolo che merita uno stato che non sia guidato dal terrore. Chissà se almeno oggi i pacifisti saranno in grado di scegliere da che parte stare, ricordando, in futuro, le parole di pace di Golda Meir: “Se gli arabi deponessero le loro armi oggi, non ci sarebbe più violenza. Se gli ebrei deponessero le loro armi oggi, non ci sarebbe più Israele”. Bentornati a casa.   Vuoi capire l'Italia con un linguaggio nuovo, senza perderti in troppe chiacchiere? Iscriviti a "La situa" , la newsletter del direttore Claudio Cerasa

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