Da settimane media e osservatori si domandano chi ci sia davvero dietro la strategia dei dazi di Donald Trump, quale sia il vero obiettivo finale e soprattutto come intenderà gestire il conflitto sempre più ampio e diversificato con la Repubblica popolare cinese. Una delle autorità americane per quanto riguarda la politica con Pechino è Matthew Pottinger, che durante la prima Amministrazione Trump fu il suo viceconsigliere per la sicurezza nazionale – poi si allontanò dai trumpiani dopo il 6 gennaio. Pottinger è intervenuto sulla guerra dei dazi in un articolo pubblicato da The First Press scritto insieme con Liza Tobin, che dirige Garnaut Global, una società di consulenza sui rischi geopolitici, e ha avuto diverse consulenze con il governo degli Stati Uniti per quanto riguarda le relazioni economiche con la Cina. “Mentre concedeva al resto del mondo una tregua di 90 giorni dalla sua guerra commerciale globale”, scrivono i due, Trump “ha riservato un cazzotto ben assestato alla Cina”, abbassando i dazi ad altri partner disposti a negoziare e aumentando quelli con Pechino al 145 per cento. “Benvenuti nel Grande Divorzio”, scrivono Pottinger e Tobin, “una rottura burrascosa tra le due più grandi economie del mondo, con il resto del pianeta come posta in gioco. Quello che per Trump è iniziato come un contenzioso commerciale, per Xi Jinping è una lotta per la supremazia del XXI secolo”. E Xi, scrivono i due analisti, “ha ragione. Qui si parla di molto più che commercio. E che piaccia o no, la competizione è praticamente a somma zero. Se Trump ha preso il sopravvento sul piano commerciale, Xi sta guadagnando terreno in campi forse ancora più decisivi: intelligenza artificiale, manifattura avanzata e potere militare necessario a conquistare l’immobile più strategico del pianeta: Taiwan. Il momento in cui la Cina sarebbe stata isolata come bersaglio principale dell’ira di Trump era nell’aria da tempo – ma era inevitabile”. Durante gran parte del suo primo mandato, scrivono gli esperti che lo hanno visto da vicino, “Trump pensava di poter negoziare per ridurre il surplus commerciale cinese con gli Stati Uniti”, ma tutto “è cambiato nel 2020. Con l’economia globale e la sua rielezione compromesse dalla pandemia, Trump ha detto a un ristretto gruppo di consiglieri che neppure ‘cento accordi commerciali’ con la Cina avrebbero compensato i danni subiti dagli Stati Uniti per colpa del Covid”. Una volta, mentre Pottinger era seduto sul divanetto dello Studio Ovale, Trump disse: “Non sono sicuro che possiamo ancora fare affari con la Cina. Forse è il momento di fare decoupling”. Secondo gli autori, quel pensiero non l’ha mai abbandonato. E la scorsa settimana ha ribadito: “Io mi sono sempre trovato bene con il presidente Xi. Ma sai... quando è arrivato il Covid, per me è finita lì. E’ stato il punto di non ritorno”. Dunque il presidente americano ora potrebbe fare qualche negoziato singolo, su dazi o su TikTok per esempio, “ma un ‘grande accordo’ complessivo che metta da parte la rivalità Usa-Cina non è mai stato così lontano. Perché? Perché semplicemente non esiste un accordo che possa risolvere il problema alla radice: il modello economico di Pechino è progettato per ottenere dominio politico – non solo economico – su scala globale. E’ stato Xi, più ancora di Trump, a portarci a questo bivio”. Del resto, per Pottinger e Tobin “la Cina aveva già lanciato una guerra commerciale unilaterale contro gli Stati Uniti ben prima che Trump entrasse in carica”: praticamente dal 2012, quando Xi Jinping è entrato in carica. E “la guerra economica di Pechino è solo un tassello del progetto ideologico più ampio di Xi: costruire una ‘comunità dal destino condiviso per l’umanità’, la sua visione per sostituire l’egemonia americana con quella del Partito comunista cinese. Una strategia per normalizzare il controllo autoritario, marginalizzare i valori democratici e aumentare l’influenza globale di Pechino. Xi è convinto di trovarsi davanti a un’opportunità irripetibile per riscrivere l’ordine mondiale. ‘La nostra lotta con l’occidente è inconciliabile’, ha scritto Xi in un manuale militare riservato”. Oggi Trump sarebbe quindi il protagonista della guerra commerciale, ma “Xi gioca la partita più ampia per il potere globale. Per lui, la vittoria non passa solo per il commercio, ma per il controllo delle tecnologie critiche come l’intelligenza artificiale, che trasformeranno società ed economie e daranno forma al potere militare”. Qui nascono i problemi, spiegano Pottinger e Tobin, perché “non è chiaro se Trump comprenda davvero cosa c’è in gioco sul piano tecnologico: “Trump può vincere la guerra commerciale ma perdere quella del secolo se la Cina conquista Taiwan con la forza. L’economia e il vantaggio tecnologico degli Stati Uniti dipendono dai semiconduttori di alta fascia prodotti solo a Taiwan. Finché Taiwan resta una democrazia, l’America mantiene l’accesso privilegiato a quei chip. Se la Cina invade, lo scenario si ribalta”. Ma c’è ancora una possibilità: “Allontanando l’economia americana dalla Cina, Trump potrebbe avviare una strategia più ampia che rafforzi la posizione americana su temi chiave come la tecnologia e Taiwan. Trump potrebbe persino avere successo improvvisando, isolando la Cina senza alienarsi il resto del mondo libero. Insieme, Stati Uniti, Unione Europea, Giappone, Regno Unito e Australia rappresentano circa il 56 per cento del consumo globale, contro il 13 della Cina. India e altri grandi attori sono pronti a negoziare con Trump. Questo blocco potrebbe offrire una leva geopolitica enorme, se ben sfruttata. Il primo passo? Accordi commerciali con dazi bassissimi tra paesi amici, molto più bassi rispetto alla Cina”. Insomma, per Pottinger e Tobin questa guerra commerciale non è iniziata con la nuova presidenza Trump, ma nel 2001, quando la Cina è entrata nell’Organizzazione mondiale del commercio “promettendo di aprire i propri mercati”, e invece usando la lsua leadership “per dominare i settori strategici e bloccare la concorrenza. Ma Trump potrebbe finirla a proprio favore se sfrutta il potere delle vere economie di mercato per isolare la Cina senza isolare l’America”. Il presidente potrebbe arrivare “quasi per caso” alla posizione evocata dal segretario al Tesoro Scott Bessent: “Probabilmente possiamo trovare un accordo con i nostri alleati... e poi affrontare la Cina come gruppo”. “Se ci riesce, ha ottime possibilità di vincere la sfida del secolo”.
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