La Commissione di Ursula von der Leyen e il governo di Keir Starmer non sono riusciti a trovare un accordo sulla partecipazione del Regno Unito a Safe, lo strumento di prestiti da 150 miliardi di euro per sviluppare l’industria della difesa attraverso gli acquisti congiunti di armamenti. Nel momento in cui gli europei cercano di proteggere l’Ucraina dalla pressione dell’Amministrazione Trump e da un piano di capitolazione, la notizia è quasi passata inosservata. Eppure il fallimento dei negoziati tra Bruxelles e Londra su Safe sono di pessimo augurio per chi sostiene che l’Europa– e non solo l’Unione europea a 27 – debba fare squadra per affrontare la doppia minaccia dell’imperialismo della Russia e del disimpegno degli Stati Uniti dal vecchio continente. Gli appalti di Safe dovevano servire da catalizzatore per la reintegrazione del Regno Unito nella difesa europea dopo la Brexit. Invece, l’approccio burocratico e di corta veduta adottato dalla Commissione compromette il reset sulla sicurezza. Il fallimento dei negoziati su Safe si riassume in una questione di soldi. La Commissione attribuisce la colpa a Starmer che non ha voluto mettere mano al portafoglio come richiesto a chiunque partecipi a un programma dell’Ue. A prima visita l’argomento è logico: se l’industria della difesa britannica può beneficiare della manna da 150 miliardi di Safe, Londra deve dare un contributo. Funziona così sul programma di ricerca Horizon o su Erasmus. Ma la sicurezza dell’Europa non è materia da contabili. La richiesta iniziale della Commissione era irrealistica: 6,5 miliardi di euro. L’obiettivo era ottenere almeno 2 miliardi di euro. Dopo due mesi di negoziati, Starmer ha rifiutato. Chi ci rimetterà sono gli stessi stati membri dell’Ue, che non potranno usare i fondi di Safe per comprare armamenti dall’industria britannica (salvo un 35 per cento delle componenti delle armi prodotte nell’Ue). Senza l’integrazione del Regno Unito nella difesa europea, compresa la componente industriale, l’Europa sarà molto più debole.
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