Il nuovo rapporto "Global Risks to the EU 2026" del Robert Schuman Centre (centro di ricerca interdisciplinare dell’Istituto Universitario Europeo di Firenze) offre un quadro che ribalta alcune certezze della politica europea. Per gli esperti, non è la minaccia di un’escalation diretta con la Russia la principale fonte di inquietudine, bensì la possibile ritirata degli Stati Uniti dalle garanzie di sicurezza verso gli alleati. Un rischio che, secondo il sondaggio, è quasi tanto impattante quanto l’ipotesi di un uso di armi nucleari da parte di Mosca, ma significativamente più probabile. Per realizzare lo studio sono stati intervistati 500 esperti in materia di politica estera e sicurezza internazionale. A sorprendere è la natura del rischio: non un conflitto spettacolare, ma uno shock politico. In altre parole, un’America meno affidabile, oggi incarnata dall’imprevedibilità della leadership di Donald Trump, pesa sulla sicurezza europea più di qualsiasi mossa di Vladimir Putin. Il rapporto parla di una “vulnerabilità strutturale” dell’architettura europea: il suo principale garante potrebbe trasformarsi in una fonte di instabilità. E mentre il dibattito sulla difesa comune europea continua, il documento ricorda che l’Ue è “lontana dal poter sostituire le garanzie Usa nel breve periodo”. La mappa dei rischi: l'isolazionismo americano preoccupa più dell'interventismo russo La mappa dei rischi per l'anno che verrà mostra quindi una forte concentrazione di preoccupazione per le politiche trumpiane, con l'America che si sta sempre più sfilando nel conflitto russo-ucraino, e con gli europei costretti a rivedere ogni forma di politica difensiva e a riprogrammare le alleanze Nato. Certo, la Russia resta centrale nella percezione delle minacce: un nuovo intervento militare in stati non Nato è considerato molto probabile e altamente dannoso, più verosimile di uno scontro diretto con l’Alleanza Atlantica. Anche un cessate il fuoco in Ucraina favorevole a Mosca è valutato come uno degli scenari più pericolosi per la sicurezza europea, perché sancirebbe il fallimento della deterrenza. Un accordo di pace che bloccasse la guerra ma premiasse l'aggressore – regalando, tra le altre cose, tutto il Donbas a Mosca anche se non è interamente controllato dalle milizie russe – andrebbe a minare la sostenibilità a lungo termine dell'Ucraina come paese sovrano e stato democratico. Inoltre, legittimerebbe minacce future invece che scoraggiarle. Il rischio numero uno: attacchi ibridi alle infrastrutture europee Ma il rischio numero uno del 2026 è un altro: un grande attacco ibrido alle infrastrutture critiche dell’Ue. Sabotaggi sottomarini, blackout elettrici o colpi alle reti digitali sono ritenuti lo scenario più probabile e fra i più dannosi, segno che il fronte della sicurezza europea si è spostato dagli eserciti alle reti energetiche e informatiche. Il futuro baricentro del rischio combina eserciti convenzionali ad attacchi di questo genere, dai sistemi energetici a quelli digitali o di trasporto, che richiedono lo sviluppo di un sistema difensivo e di facoltà di riparazione rapida di questi sistemi, come già accade con gli strumenti militari classici. Gli altri fattori: terrorismo, migrazioni e narcotraffico Sul piano globale, il rapporto registra anche l’ascesa della crisi Taiwan–Cina, giudicata ad alto impatto, e la crescente instabilità in Medio Oriente, con la probabilissima rottura della tregua tra Israele e Hamas e il rischio (più grave ma meno probabile) di un’escalation Iran–Israele. Tuttavia, gli esperti ritengono che le ricadute più serie sull’Ue provengano dai rischi interni: terrorismo, migrazioni irregolari e rafforzamento delle reti criminali legate al narcotraffico, fenomeni che possono “fratturare la politica europea dall’interno”. Il report illustra anche i rischi ritenuti "moderati". Ad esempio, l'utilizzo da parte della Russia di armi nucleari e uno scontro tra la Nato e la Russia hanno un rischio ad alto impatto per la sicurezza europea, ma sono considerati improbabili, come anche uno scontro tra la Cina e gli Stati Uniti. Viene invece giudicato come probabile un attacco terroristico dentro l'Unione. Un pò più in basso, sia come impatto sulla sicurezza Ue che come probabilità, ci sono le violenze interne tra gruppi radicalizzati negli Stati Uniti, una escalation tra Israele e Iran, le politiche aggressive cinesi a sud del Mar cinese (gli esperti europei percepiscono poi come discretamente pericoloso lo scenario di uno scontro militare tra la Cina e Taiwan) e un incremento delle ostilità contro la marina europea nel Mar Rosso da parte dei ribelli Houthi. Stimato come altamente probabile, ma poco impattante per la sicurezza europea, è la rottura del cessate il fuoco a Gaza. I rischi "remoti", riguardano poi conflitti probabili ma con un riflesso meno immediato nelle politiche europee. Vengono evidenziati infatti la frammentazione territoriale in Sudan, il crollo del sistema federale somalo, i violenti conflitti interstatali nel Corno d'Africa. Il rischio principale per l'Unione europea proveniente dalla Somalia, per esempio, è il vuoto di sicurezza sempre più profondo che andrebbe a minare anni di investimenti, alimentando l'instabilità regionale, ponendo dei dubbi sulla credibilità del partner. Allo stesso modo, l'Ue ha tentato di rimanere attiva in Sudan attraverso azioni non ancora riuscite per prevenire le continue violazioni dei diritti umani. Percepiti come a basso rischio per la sicurezza Ue sono gli scontri tra Pakistan e India, la guerra nella penisola coreana, il potenziale conflitto nei Balcani occidentali con un rinnovato confronto tra Kosovo e Serbia e una spinta secessionista della Republika Srpska in Bosnia ed Erzegovina I 30 rischi selezionati non sono stati scelti esclusivamente sulla base della loro probabilità o frequenza ma perché le loro potenziali conseguenze erano abbastanza significative da meritare attenzione, anche quando alcuni scenari avevano una probabilità inferiore, se non ridotta al minimo, di verificarsi. Il quadro complessivo che emerge è quello di un’Europa esposta su tre fronti: la pressione russa a est, le vulnerabilità delle sue infrastrutture e la crescente incertezza sul ruolo americano. Per questo, conclude il rapporto, l’Ue dovrà prepararsi a un futuro in cui la sicurezza non è più garantita, ma deve essere costruita e difesa, anche da coloro che fino a ieri venivano considerati alleati indispensabili.
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