L’esplicita svolta nei confronti dell’Europa contenuta nella strategia di sicurezza nazionale statunitense alza la posta in gioco per il continente. La scarsa affidabilità dell’alleanza con gli Stati Uniti rappresenta una forte minaccia per l’Unione, con una divergenza transatlantica che appare ormai strutturale. L’Europa si trova quindi dinanzi a uno scenario di competizione tra grandi potenze, nel quale deve lottare per la sopravvivenza del proprio modello e prepararsi all’eventualità di una nuova aggressione russa, agevolata dai dubbi sulla deterrenza americana. Osserviamo da anni una lettura classica: l’Unione, concepita essenzialmente come un mercato integrato, non ha sviluppato gli strumenti della potenza. Va ricordato l’indole nazionalista dei vari stati membri, che hanno sempre rifiutato lo sviluppo di un’azione europea su temi come il fisco, la salute o la difesa, temendo una perdita di sovranità. Purtroppo questi riflessi conservatori sono il frutto di un’analisi sbagliata, secondo la quale si pensa che la sovranità, come la politica, costituisca un gioco a somma zero, in cui il rafforzamento dei poteri a livello europeo avviene a scapito dei livelli nazionali, come vasi comunicanti. Ma la politica non deve essere concepita come un sistema fisico chiuso nel quale il numero di elementi rimane invariato. La creazione di sovranità a livello europeo permette di affrontare in modo adeguato una serie di problematiche che non possono essere risolte entro i limiti dei singoli stati membri, come illustrato da numerose politiche settoriali, dall’agricoltura al digitale. In questi ambiti sembra ormai inconcepibile un ripiegamento su mere politiche nazionali, anche perché incapaci di fronteggiare la competizione globale. Si assiste dunque a un aumento della capacità di governo quando si dispiega anche una sovranità europea complementare a quella nazionale, che però poggia su un consenso politico unanime: quello del mantenimento di un compromesso socialdemocratico che caratterizza l’insieme degli stati membri. Queste riluttanze si esprimono in vari modi, anche nel rifiuto di estendere il voto a maggioranza qualificata. Oggi, però, siamo di fronte a uno scenario difficile, nel quale dobbiamo massimizzare le nostre possibilità. L’avversità statunitense non lascia più margini all’Unione, se non quelli legati alle proprie capacità di crescita, che però non sono affatto banali. Di fronte a logiche imperiali, non possiamo snaturare la nostra identità di “non potenza”. L’affermazione di forze sovraniste sullo scenario politico europeo rende poco probabile un salto federale, che tra l’altro potrebbe mettere in discussione l’identità composita di un’Unione creata anche come strumento di pace fra le nazioni, mantenendo le diversità delle varie democrazie: un’identità storica fondamentale. La diversità degli stati membri permette anche alcuni giochi di ruolo che, se concepiti di comune accordo, possono aumentare le capacità diplomatiche europee. La via federale va dunque scartata per il momento – sarebbe diverso in caso di guerra – ma non esiste altra strada se non quella di un’ulteriore integrazione, seguendo le lezioni delle recenti crisi, superate creando strumenti comuni per aumentare la resilienza dell’Unione, senza dimenticare la ripresa dell’allargamento, una delle politiche che ha sempre fatto crescere concretamente il potere europeo. Al cuore di questa logica troviamo la necessità di difendersi meglio, ossia di aumentare la nostra capacità di dissuadere potenziali aggressori. Uno dei motori principali è quello economico. Esistono vari rapporti che indicano strumenti per un’ulteriore integrazione dei mercati, anche finanziari, in grado di determinare automaticamente un maggiore volano di investimenti e crescita. Di fronte ai limiti dei bilanci nazionali, sembra fondamentale predisporre le condizioni per una crescita dell’Unione che comporti anche maggiori entrate fiscali per gli stati membri, il che rappresenta una crescita concreta delle sovranità nazionali ed europee. Inoltre, in un contesto nel quale la tecnologia appare come un fattore condizionante delle scelte politiche, sociali e anche militari, creare le condizioni per maggiori investimenti europei nella ricerca fondamentale e nello sviluppo – un aspetto già alla base della cosiddetta strategia di Lisbona – rimane una priorità e una vera opportunità, se si tengono presenti le capacità europee esistenti. Si tratta anche di un passo fondamentale per ridurre la nostra dipendenza dalla tecnologia statunitense, ormai un obiettivo necessario per aumentare la nostra “profondità strategica”, ossia la capacità autonoma di difesa e resistenza. Rientra anche in una strategia più ampia volta a contenere il disastro cognitivo rappresentato dall’uso generalizzato di applicazioni algoritmiche centralizzate in pochi gruppi statunitensi. Anche da questo punto di vista stiamo assistendo alla crescita di un consenso critico nel quale l’Europa può contare su istituzioni solide, includendo la Chiesa del papa Leone. La maggiore integrazione dell’Unione rappresenta quindi l’unica soluzione sovrana sensata, che richiede anche un’espressione di volontà politica da parte di un gruppo o della maggioranza dei paesi europei. Ma a questo, in un certo senso, ci sta pensando Trump, che a forza di picconare l’Ue finirà per costringerla a muoversi in un modo o nell’altro.
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