Dopo che Israele a seguito di più di 9000 razzi ricevuti sul suo territorio - ha dimezzato l’arsenale bellico di Hezbollah e annientato quasi tutti i suoi vertici di comando, a partire da Nasrallah, Teheran si è ritrovato con un alleato in serie difficoltà e ha pensato bene di lanciare circa 200 missili balistici sullo Stato ebraico. Non credo sia possibile ritenere che questo attacco non subirà ritorsioni. Soltanto certi pacifisti occidentali possono immaginare che sia lecito aggredire un altro paese (come vorrebbero poter fare Hamas, Hezbollah, l’Iran nei confronti d’Israele o la Russia nei confronti dell’Ucraina) senza che il paese aggredito si difenda e contrattacchi. Quello che risulta difficile da comprendere è piuttosto il ruolo che, in tutto questo balagan, vorrebbero svolgere gli Houti i quali, nonostante si trovino nello Yemen a più di duemilacinquecento chilometri di distanza da Israele, promettono di continuare ad attaccarlo con missili balistici ipersonici e droni. Sino ad ora ne hanno lanciati a centinaia: i più sono stati abbattuti. Seppur abbiano raggiunto una certa qual popolarità colpendo anche le navi mercantili internazionali sul mar Rosso, non molti sanno davvero chi siano, come nascono, chi li finanzia e cosa sperano di ottenere gli Houti aggredendo uno Stato che nulla ha a che vedere con il loro territorio e con la loro guerra. Stiamo infatti parlando di un gruppo tribale originario di un’area montuosa dello Yemen settentrionale, al confine con l’Arabia Saudita. Da un punto di vista religioso, si riconoscono tra gli Zaydi, una delle varie scuole di diritto dell’islam sciita: più specificamente quella che non crede al ritorno del Mahdi, l’imam occulto. Nonostante ciò, il fatto di essere comunque parte dell’islam sciita garantisce loro buoni rapporti con l’Iran. Nello Yemen, gli Zaydi costituiscono un terzo della popolazione; i rimanenti sono per lo più sunniti, pochi cristiani e qualche baha’i. La storia della nascita del movimento Houti, come gruppo politico e poi militare, risale agli anni Novanta. Tuttavia è a partire dalla cosiddetta Primavera Araba del 2011 che gli Houti cominciano ad accusare il governo centrale yemenita di Sanaa di emarginare gli Zaydi e di sopprimere i loro diritti. Allo stesso tempo, secondo la classica formula della teoria del complotto, lasciano intendere una certa qual vicinanza del governo a Israele e agli Stati Uniti. Facendo riferimento a queste accuse, nel 2014 gli Houti - sostenuti dall’Iran - si ribellano al governo dell’allora Presidente Abed Rabbo Mansour Hadi, che potrà rimanere in carica soltanto grazie all’appoggio di un’alleanza militare guidata dall’Arabia Saudita. Attualmente, nonostante il governo controlli ancora gran parte del Paese, gli Houti detengono il potere in vaste aree del nord-ovest, inclusa la capitale Sanaa. Funzionari yemeniti e Stati sunniti hanno più volte ribadito che le armi, l’addestramento militare e il supporto finanziario sono di provenienza iraniana, ottenuti in gran parte attraverso l’alter ego di Teheran, ovvero Hezbollah. Questo ha permesso agli Houti di cominciare le loro incursioni transfrontaliere in territorio saudita già nel 2009, anche se il secondo vero e proprio round di combattimenti tra Houti e Sauditi porta la data del 2015, con i bombardamenti aerei da parte della coalizione guidata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Il 4 novembre 2017, il lancio di un missile balistico da parte degli Houti sull’aeroporto di Riyahd, spinge i sauditi a definire l’attacco come un atto di guerra da parte dell’Iran. Il Ministro degli Esteri saudita Adel al Jubeir, nell’occasione, affermò essersi trattato di “un missile iraniano, lanciato da Hezbollah, dal territorio occupato dagli Houti nello Yemen”. La situazione si fa più incandescente dopo che gli Houti uccidono, il 4 dicembre 2017, l’ex presidente Alì Abdullah Saleh. Il direttore del programma nucleare iraniano, Alì Akbar Salehi, in segno di approvazione, sostenne che Saleh aveva ottenuto ciò che si meritava, mentre un consigliere dell’Ayatollah Alì Khamanei si affrettò a dire che la morte di Saleh avrebbe aiutato il popolo yemenita a “determinare il proprio destino”. Nel 2018 e nel 2019 gli attacchi missilistici Houti contro l’Arabia Saudita diventano sempre più frequenti. A questi si aggiungeranno gli attacchi con i droni, diretti alle installazioni petrolifere. Nel 2022 gli Houti riescono ad ampliare ulteriormente il loro raggio di azione, prendendo di mira con droni e missili balistici anche gli Emirati Arabi Uniti. In altre parole, dal 1990 almeno sino al 2022, gli Houti sono stati impegnati, con il supporto iraniano e degli Hezbollah, in uno dei classici conflitti della umma islamica: quello tra sciiti e sunniti. Il mondo, a parte i diretti interessati e pochi sindacalisti portuali di Genova e Cagliari che tentarono di bloccare il rifornimento di armi ai Sauditi a partire dal 2019, manco si accorgeva di loro. Un conflitto tra fazioni islamiche non fa percepire una distinzione tra buoni e cattivi, non fa quasi parteggiare per nessuno. O, meglio, non interessa a nessuno. Forse è stato quello il momento in cui gli Houti hanno capito che la soluzione era a portata di mano: bisognava ergersi a paladini dei palestinesi che lottano contro Israele. In fondo la “ribellione” degli Houti era nata proprio con la fantasiosa accusa, nei confronti del governo, di collaborazionismo con lo Stato ebraico. Il motto scelto dal gruppo delineava la via: “Dio è il più grande, morte all’America, morte a Israele, maledizione sugli ebrei, vittoria dell’islam”. Anche il nome con cui definiscono se stessi - Ansar Allah, ovvero partigiani di Dio - riflette questo spirito, mentre il termine Houti deriva dal nome del loro fondatore Hussein badr al-Din al-Houti. In realtà i governi yemeniti sono da sempre filopalestinesi: l’accusa che gli Houti avevano mosso al governo, nel 1990, di collaborare con Israele era stata un evidente pretesto per tentare di riprendere il potere perso nel 1962, dopo che un imamato zaydi aveva governato lo Yemen per mille anni. Gli ebrei non sono mai stati la causa dei loro problemi, al più sono stati i loro capri espiatori. Fino al 1948 gli ebrei yemeniti, oltre 63.000 persone, hanno vissuto tra soprusi, violenze e discriminazioni. Dopo la nascita dello Stato d’Israele, la loro difficile situazione e i massacri che hanno subito non vengono ignorati: con l’operazione segreta Magic Carpet, tra il 1949 e il 1950, il neonato Stato ebraico riesce a far trasferire in Israele 49.000 persone. Gli ultimi ebrei rimasti nel paese verranno in parte fatti evacuare, un poco alla volta, in parte cacciati dalle loro case dagli stessi Houti, quando non rapiti, imprigionati e uccisi. Quello che è certo, è che Israele o gli ebrei nulla hanno mai avuto a che fare con le problematiche relative alla gestione del potere nello Yemen. D’altra parte, più che con gli ebrei - che nello Yemen non avevano diritti né tanto meno potere - gli Houti hanno avuto un rapporto conflittuale con Islah, un partito islamista sunnita con legami con la Fratellanza Musulmana. Il che dovrebbe porre gli Houti sulla sponda opposta rispetto ad Hamas, essendo anche questo un movimento sunnita con legami con la Fratellanza Musulmana. Ѐ pertanto evidente che, per comprendere gli Houti, dobbiamo guardare a Teheran. D’altra parte Islah ha sempre sostenuto che gli Houti fossero un rappresentante dell’Iran e li ha sempre accusati di aver scatenato i disordini nello Yemen. Quanti pensano che, se Israele scomparisse dalla faccia della Terra, il Medio Oriente e il mondo vivrebbero in pace, non hanno mai studiato le guerre fratricide tra le diverse componenti islamiche. Perché, dunque, tirare in ballo Israele? Perché lanciare missili contro le navi commerciali internazionali in navigazione sul Mar Rosso? Per solidarietà ai palestinesi, dicono gli Houti, ma come già a marzo scriveva Poddighe, su Difesa Online: “Colpire gli alleati dello Stato ebraico è una narrazione, la ‘leggenda’, che gli Houti e l’Iran (o l’Iran per gli Houti) hanno costruito e sostengono per colpire ed affossare un modello di sviluppo che li avrebbe emarginati”. Non desti pertanto stupore se gli Houti, che in passato avevano dichiarato di ritenere che Stati Uniti e Israele avessero in programma di occupare Mecca e Medina con l’approvazione dell’Arabia Saudita, ora dichiarano di ritenere Israele come unico responsabile per la guerra nella Striscia di Gaza. Fa tutto parte della narrazione scritta a Teheran, che gli Houti(li) idioti degli Ayatollah ripetono per garantirsi quel sostegno internazionale che, per molti anni, non sono riusciti a concretizzare. Da ciò si evince che si tratta di una storia non semplice. Se già comprendere le motivazioni di Hezbollah è difficile, comprendere quelle degli Houti è quasi impossibile. Certo il Libano ha un passato complesso: ne avevo trattato il 3 giugno proprio sul Foglio, cui rimando per evitare ripetizioni. Tuttavia, concentrandoci sugli slogan utilizzati in questi 12 mesi, pare evidente che il gruppo terroristico libanese non stia cercando di rivendicare - come si potrebbe immaginare - l’area delle Fattorie di Shebaa o qualche altro piccolo villaggio situato nella blue line (dove dovrebbe trovarsi il contingente Onu). Com’è infatti noto, seppure Beirut nel 2000 – anno in cui Israele si è ritirato dal Sud del Libano – avesse chiesto la “restituzione” delle Fattorie (un’area di 14 km x 2,5 al margine del Golan siriano), Israele si era detto impossibilitato poiché l’area in questione, secondo i confini del 1923, era di pertinenza siriana e, di conseguenza, sarebbe entrata nelle trattative in seguito a un trattato di pace con la Siria. Di fatto, però, dopo il 7 ottobre 2023 le tensioni tra Israele e Hezbollah sono andate aumentando: il tutto sotto forma di solidarietà al pogrom di Hamas. Certo, Israele ha una buona difesa aerea, ma quando i razzi o i missili balistici cadono (e cadono!) possono fare vittime. Senza contare i danni collaterali alla qualità della vita di neonati, bimbi, adulti e anziani privati del sonno da 12 mesi di corse notturne ai rifugi, oltreché i danni all’economia e all’ambiente derivanti da industrie in difficoltà, turismo azzerato, case e scuole distrutte, ospedali evacuati, campi e boschi bruciati, decine di migliaia di sfollati. Davvero difficile da comprendere, se non per il fatto di essere i burattini di Teheran. Ma se ci spostiamo nello Yemen e cerchiamo su un atlante la sua capitale, Sanaa, vedremo che i km che la dividono da Gerusalemme sono ben 2.578. Quali motivazioni possono addurre questi “partigiani di Dio” per giungere a lanciare droni e missili balistici su Gerusalemme e Tel Aviv? Non esiste nemmeno un confine conteso tra i due paesi che possa giustificare qualche aspirazione territoriale. Esiste solo un mantra, sempre identico: la solidarietà palestinesi. E così gli Houti - un movimento dichiarato terrorista da parte di Arabia Saudita, Malesia, Emirati Arabi Uniti, governo regolare dello Yemen e, dal 2022 anche da parte dell’Onu - hanno scelto di tentare la scalata al sostegno internazionale attaccando Israele e adoperando i social media come cassa di risonanza. Ѐ infatti grazie all’intensa attività sui social media (canali Telegram, account su X, Facebook, Tik Tok, Instagram, YouTube) che il gruppo ottiene un crescente appoggio da parte dei creduloni del web. E se l’Iran ha svolto un ruolo significativo nell’amplificazione del materiale postato dagli Houti, un appoggio persino più ampio - a livello mediatico - è stato ottenuto grazie al Cremlino. Mosca ha infatti ritenuto utile, ai propri scopi, far circolare la narrazione di un’aggressione occidentale e di un’influenza malevola in Medio Oriente. I resoconti cospirazionisti pro-Cremlino hanno ulteriormente amplificato i contenuti degli Houti, anche se, come ci dice l’Institute for Strategic Dialogue, di fatto si tratta sempre di fonti iraniane tradotte in inglese e poi trasmesse a un pubblico internazionale da reti pro-Cremlino e pro-Iran. Ovviamente, a livello di sostegno internazionale, non manca quello espresso dagli account di estrema sinistra e marcatamente filo-palestinesi. I sostenitori di estrema sinistra degli attacchi alle spedizioni nel Mar Rosso e contro Israele credono, ad esempio, che gli Stati occidentali e Israele siano aggressori neo-colonialisti e che gli Houti rappresentino un movimento di resistenza contro il colonialismo. Queste narrazioni enfatizzano le trasgressioni occidentali e israeliane del diritto internazionale, ignorando le violazioni dei diritti umani da parte degli Houti. Basti ricordare che dal 2014 vengono allestiti “campi estivi” nelle moschee e nelle scuole per indottrinare i civili, anche non sciiti e non musulmani, con l’ideologia religiosa Houti. O che dal novembre 2022, i dipendenti del settore pubblico sono costretti a firmare un “Codice di condotta” basato sull'interpretazione del Corano da parte dei leader Houti: quelli che si rifiutano rischiano il licenziamento. Gli agenti penitenziari costringono i detenuti a seguire corsi di formazione religiosa come condizione per il loro rilascio, punendo con l’isolamento chi si rifiuta, negandogli il cibo e vietando le visite dei familiari. Le minoranze religiose come i baha’i e i cristiani sono perseguitate e incarcerate, così come lo sono state le minoranze ebraiche. Le donne subiscono gravi soprusi, sia in carcere che fuori. Ad esse è imposta la regola del “mahram” (scorta maschile), giustificata da motivi religiosi. Questa prevede che tutte le donne nelle aree controllate dagli Houti, comprese le donne non yemenite che lavorano per gruppi umanitari e di soccorso, siano accompagnate da un uomo durante gli spostamenti. La mescolanza di uomini e donne nei luoghi pubblici è vietata, i negozi di abbigliamento femminile possono esporre soltanto gli abaya neri. Le donne islamiche che hanno scelto la conversione al cristianesimo sono regolarmente incarcerate. Qui subiscono percosse fisiche e violenze sessuali, oltre che minacce di violenze sui figli e sui famigliari. Eppure tutto questo, nonostante le denunce di Amnesty International e di Mwtana for Human Rights (organizzazione yemenita per i diritti umani), non scuote le coscienze occidentali, non provoca cortei o servizi nei TG. Anzi, accade piuttosto che commentatori, che si rifanno politicamente alla sinistra, offrano agli Houti il palcoscenico della rispettabilità. Pensiamo al britannico George Galloway, che ha condotto un’intervista in diretta streaming con il portavoce degli Houti, Mohammed al-Bukhaiti, definendo quello degli Houti come “l’esercito popolare più popolare in questo momento”. O all’intervista allo stesso al-Bukhaiti da parte di Max Blumenthal, fondatore e direttore della piattaforma cospirazionista “The Grayzone”. Così, grazie a quel misto di antisemitismo mai sopito, di pavida credulità e indefessa ignoranza, una delle più classiche faide dell’islam – quella tra sciiti e sunniti – si è trasformata agli occhi di molti in una battaglia in sostegno della resistenza di un popolo oppresso dove, come in un gioco di prestigio, gli oppressori diventano partigiani per la libertà e i diritti umani sono a buon prezzo barattati con l’odio. Forti di ciò pochi giorni fa, a Sanaa, gli Houti riuniti per commemorare la morte di Nasrallah, hanno lanciato il missile balistico Palestine 2 verso l’aeroporto di Tel Aviv e promesso il prosieguo degli attacchi. Cosa che hanno puntualmente fatto il 7 ottobre, lanciando un altro missile terra-terra su Tel Aviv, a un anno di distanza dal pogrom di Hamas. Israele pretenderà mica di difendersi?
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