Pubblichiamo l’intervista integrale a Tony Blair realizzata da Børge Brende in occasione dell’Annual Meeting of the New Champions 2025 organizzato dal World Economic Forum a Tianjin, in Cina. Børge Brende, World Economic Forum: Buon pomeriggio. Benvenuto a Sir Tony Blair. Benvenuti anche a tutti voi. Quando sono entrato nella sala 15 minuti fa, era già piena. Penso che questa sia una testimonianza per te, Tony, e per l’interesse ad ascoltare la tua prospettiva sulla situazione geopolitica e geoeconomica. Poteva essere più complicata, la situazione geopolitica che vediamo oggi? Tony Blair, Tony Blair Institute for Global Change: Saremmo praticamente fuori dal mestiere, se non fosse così. Sì, no, ovviamente è complicata. Ma prima di tutto, lasciatemi dire che è un grande piacere essere al World Economic Forum, il Davos estivo, e benvenuti a tutti qui. Sì, è complicata, ma lo è sempre. Non riesco a ricordare un momento, certamente nella mia carriera politica, in cui la gente non dicesse: questo è il periodo più complicato che abbiamo mai vissuto. Børge Brende: E sicuramente sembrava molto più complicata appena 24 ore fa, specialmente in medio oriente, giusto? Tony Blair: Sì. Eh, vogliamo cominciare da lì? BB: Sì, penso di sì. Quello che era cominciato è finito… TB: Beh, il cessate il fuoco è in vigore. Sembra esserlo, il che è positivo. Penso che se – poiché è una situazione che si muove rapidamente – se si fa un passo indietro, penso che le seguenti cose siano chiare. TB: E penso che questo sia potenzialmente un momento cruciale per il medio oriente. E c’è anche qualcosa di positivo che può uscirne. Primo, credo sia molto chiaro, almeno sotto questo presidente americano, che all’Iran non sarà permesso sviluppare un’arma nucleare. Secondo, penso che l’ultimo anno abbia visto un indebolimento delle milizie per procura iraniane nella regione mediorientale: Hamas, Hezbollah, gli Houthi. C’è stata la caduta di Assad in Siria e sta emergendo un nuovo regime. Il Libano ha ora, credo, una vera possibilità di futuro. Anche questo è un grande cambiamento. Penso, in terzo luogo, che non dovremmo ignorare ciò che è successo anche in medio oriente, ovvero una rivoluzione pacifica in corso in Arabia Saudita in termini di sviluppo economico e sociale. Gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar, l’intera regione mediorientale: vi sta emergendo ciò che io definirei forze forti e modernizzatrici. E infine, quindi, penso che, dato che le forze che sono state – secondo me – contrarie alla tolleranza religiosa e alla modernizzazione dell’economia sono oggi più deboli, ci sia una reale opportunità per il medio oriente. Ma credo sarà importante usare quell’opportunità, soprattutto per arrivare alla fine della guerra a Gaza su basi che proteggano la sicurezza di Israele ma offrano speranza ai palestinesi. Quindi, penso che se si fa un passo indietro, si possa descrivere una situazione in cui, se vogliamo, le persone che credono nella tolleranza religiosa e nelle economie aperte e connesse sono state rafforzate. Quelle contrarie a tali principi si sono indebolite. Ma dobbiamo usare tutto ciò, usare il nuovo scenario in medio oriente per porre fine al conflitto ancora in corso e dare una maggiore possibilità di opportunità e speranza alla popolazione. BB: Grazie. Ci sono molte cose da approfondire, ma cominciamo dalla situazione in Iran. Come hai detto, l’Iran aveva dei proxy con Hezbollah in Libano, in parte Hamas a Gaza, ovviamente Assad in Siria. Quello che resta adesso forse sono le milizie sciite in Iraq e gli Houthi in Yemen. Ma a Teheran il regime oggi è indebolito. Come pensi che si evolverà la situazione interna in Iran a seguito di questo? Hai timore che anche forze più radicali all’interno dell’esercito possano rafforzarsi, o pensi che sia l’inizio della fine? TB: Penso che davvero non si possa dire. Suppongo che ci sarà una repressione interna continua, perché credo che il popolo iraniano – tra l’altro – nella sua maggioranza voglia vivere in una società tollerante dal punto di vista religioso, e sono anche persone molto intelligenti e capaci. L’Iran è un’antica civiltà. Il suo popolo probabilmente desidera essere connesso all’economia globale. Quindi dovremo vedere, ma penso che molto dipenderà non solo da come affronteremo i problemi del medio oriente, ma anche da come sapremo cogliere le opportunità offerte dalla nuova situazione che si è creata. BB: Avresti potuto prevedere il crollo così rapido di tutti questi proxy per l’Iran, come Assad rimosso, Hezbollah che nemmeno si è coinvolta nel conflitto tra Iran e Israele nelle ultime settimane? TB: Beh, penso che nessuno avrebbe potuto prevedere completamente il crollo di quei proxy. Ma penso ci sia una lezione molto interessante qui, ovvero – voglio dire – è abbastanza evidente che il regime iraniano era infiltrato praticamente a ogni livello e che c’erano molte persone che lavoravano contro di esso. E se prendiamo il Libano, ad esempio, il ruolo di Hezbollah in Libano nel corso degli anni è stato nefasto. Ha bloccato il paese. E i libanesi, ancora una volta – incontriamo persone libanesi in tutto il mondo, soprattutto nella comunità imprenditoriale – sono persone davvero intelligenti e capaci. Meritano qualcosa di meglio. E dobbiamo aspettare e vedere cosa accadrà in Siria. Voglio dire, il mio istituto ha avuto discussioni con il governo siriano. E in Iraq, che hai menzionato, sì, anche lì vogliono essere indipendenti. Vogliono tornare a sfruttare l’enorme potenziale economico del paese. Quindi penso che ciò che è interessante è che la maggior parte delle persone non aveva previsto che il crollo sarebbe stato così grande. Ma la domanda è: perché è avvenuto quel crollo? Ed è avvenuto perché, alla fine – credeteci o no – le persone vogliono essere libere, vogliono avere opportunità economiche. Preferiscono vivere in un mondo di tolleranza religiosa, non di estremismo religioso. E penso che questa sia una lezione davvero, davvero importante per tutto il medio oriente. Perché il mondo oggi funziona attraverso la connettività. Più sei connesso, più sei aperto mentalmente. Se stai educando i tuoi giovani a essere creativi, se li stai educando al fatto che non importa da quale razza, fede o nazione provengano, guardiamo a ciò che abbiamo in comune. Queste sono grandi cose. Ed è qui che sta il futuro del medio oriente. Ed è per questo che è così importante ciò che sta accadendo in quei paesi che si stanno modernizzando. Sai, se fai un sondaggio in medio oriente tra i giovani di tutta la regione e chiedi loro: “A quale paese vorreste che il vostro paese assomigliasse di più?”, la risposta, credo ogni anno, è: gli Emirati Arabi Uniti. Quindi, sai, questo è – e non è una coincidenza, tra l’altro – è per via del tipo di governance che c’è stata. E uno dei motivi per cui il mio istituto oggi lavora in quasi 50 paesi in tutto il mondo è che una delle cose affascinanti è che tutti pensano sempre che la loro situazione sia unica – e in un certo senso lo è. Ma ovunque tu vada, ciò che le persone vogliono più di tutto è l’opportunità di farcela, se lavorano duramente, di avere pace e stabilità, di crescere la propria famiglia con qualche possibilità di un futuro dignitoso. E questo vale ovunque. E la chiave di tutto questo è una buona governance, che sia essa stessa aperta mentalmente, che sia efficace nel creare opportunità per le persone e connessa al mondo. BB: Penso che questo meriti un applauso, no? Grazie. Ma come hai detto, questo è anche un momento cruciale per la situazione israelo-palestinese. E quello che è accaduto a Gaza ha sollevato molte preoccupazioni a livello globale. Si era parlato anche di un riavvicinamento tra Israele e Arabia Saudita, o persino di un coinvolgimento saudita in un’intesa basata sugli Accordi di Abramo. Ma a causa della situazione a Gaza, tutto questo è ora in una fase di stallo. Ci sono modi per superare questo stallo adesso, dopo la questione iraniana e il cessate il fuoco? TB: Beh, ci sono dei modi per superare lo stallo e tornare su un percorso di normalizzazione tra Israele e i paesi della regione. Ma ciò potrà avvenire solo se ci sarà una soluzione giusta per i palestinesi. E non dovrebbe essere oltre le nostre capacità o ingegno ideare qualcosa che protegga la sicurezza di Israele – perché Israele ha diritto a essere sicuro come stato – ma che dia anche ai palestinesi la possibilità di autodeterminazione e garantisca che i giovani palestinesi abbiano almeno un po’ di speranza per il futuro. Quello che è successo a Gaza è terribile. E’ una situazione sconvolgente. Dovremmo mettervi fine il più rapidamente possibile. Ma si potrà porvi fine solo a condizione che Gaza sia amministrata e governata in un modo che offra speranza ai palestinesi e sicurezza a Israele. E spero davvero che, a seguito di ciò che è accaduto – perché, in fin dei conti, l’Iran sosteneva Hamas – spero che questo apra un’opportunità per tracciare un nuovo percorso lì. Sai, io me ne occupo – tu pure – da tanto tempo. Passo molto tempo nella regione e non ho mai smesso, negli ultimi vent’anni, di andare avanti e indietro nella regione dicendo a tutti: “Se non troviamo una soluzione equa e giusta a questo conflitto israelo-palestinese, saremo sempre a rischio che il medio oriente esploda di nuovo”. Non vuol dire che questo abbia causato tutti i problemi del medio oriente, ma significa che risolverlo darebbe molta più fiducia nella stabilità futura. BB: Come molti ricorderanno, Sir Tony Blair è stato per anni capo del Quartetto a Gerusalemme. Hai passato molti anni in colloqui tra leader israeliani e palestinesi. Ma quando dici “una soluzione giusta per i palestinesi”, suppongo tu intenda una soluzione a due stati. O no? Puoi essere più concreto su ciò che realisticamente può essere accettato da Israele e dai palestinesi? Non dimentichiamo che Arafat rifiutò diverse proposte. TB: Sì. Beh, sarò concreto per quanto è saggio esserlo in questo caso… BB: Un’avvertenza interessante. TB: Guarda, se sei in Israele in questo momento… una delle cose più difficili in politica è che, a seconda di dove ti trovi e di cosa hai vissuto, la lente attraverso cui vedi le cose può essere molto diversa. E se sei in Israele ora, dato il trauma del 7 ottobre e ciò che è accaduto dopo, con alcuni ostaggi ancora lì, sai bene che non ci saranno molti politici disposti a parlare di una soluzione a due stati in questo momento. D’altra parte, non credo che la gente sia contraria, in linea di principio, all’autodeterminazione dei palestinesi. In fondo, Israele non andrà da nessuna parte. E nemmeno i palestinesi. Quindi dico sempre: come in Irlanda del Nord, quando due popoli vivono fianco a fianco e sono in conflitto, accadono solo due cose: o si fa la pace – cosa che siamo riusciti a fare in Irlanda del Nord – oppure il più forte finisce per controllare il più debole. E quella non è mai una soluzione di lungo periodo. Alla fine, penso sia possibile trovare una via da seguire, ma dipenderà totalmente da ciò che accadrà nella guerra di Gaza e a Gaza in generale. Perché spesso si parla di soluzione a due stati. E a volte penso che più se ne è allontanata, più se ne è parlato. Ma la realtà è che tutto comincia sul terreno, giusto? E ora Gaza è in rovina e la Cisgiordania è in forte agitazione. Dobbiamo sistemare quelle realtà e solo dopo porre le basi per tornare a quel tipo di conversazione. Se vuoi restare nel mondo reale, puoi fare dichiarazioni sulle due entità, e la gente le fa continuamente. Ma se vuoi davvero realizzarle, devi affrontare le cause profonde, devi creare condizioni sul terreno in cui i due popoli possano davvero immaginare di vivere fianco a fianco in pace. E al momento, quella prospettiva è lontana. Dobbiamo lavorarci. BB: E come hai detto, Gaza è il punto più critico: la crisi umanitaria, ma anche chi vorrà ricostruirla. Servirà un percorso, almeno per l’anno prossimo. Hamas non può far parte di questo percorso. Ma se Hamas è ancora lì e ne fa parte? Quali scenari realistici vedi? TB: Ci sono molti scenari diversi, ma penso che al momento si possano fissare princìpi molto chiari. Nessuno investirà di nuovo a Gaza se non c’è un quadro stabile per il futuro. E ricordiamo: non è il primo conflitto a Gaza. Ce ne sono stati diversi. Quindi i princìpi sono chiari. Hamas non può controllare Gaza. Sarebbe inaccettabile. Ovviamente, serve che la popolazione di Gaza abbia un futuro. E questo significa, a un certo punto, il ritiro delle forze israeliane. E poi serve un quadro in cui la gente percepisca un orizzonte politico. Tutte queste cose sono in discussione in questo momento. Sarà una sfida estremamente difficile. Ma necessaria. E bisogna sempre pensare che lì vivono oltre due milioni di persone. E’ una popolazione giovane, molto giovane. E al momento non ha alcuna speranza. La questione cruciale sarà come verrà governata Gaza dopo. BB: Siamo in Cina, in un momento importante per questo paese davvero enorme. Seconda economia del mondo. Contribuisce ancora quest’anno al 30 per cento della crescita globale, anche se c’è stato un leggero rallentamento anche qui. Ma rispetto a molti altri luoghi, resta una crescita significativa. Parliamo di 1,4 miliardi di persone. Penso tu abbia visitato la Cina per la prima volta nel 1988. TB: Grazie per avermi ricordato che sto invecchiando, ma sì. BB: Immagino che la Cina di allora fosse molto diversa da quella di oggi. TB: Sì, c’erano molte persone in bicicletta e volevano smettere di usarla. Oggi, vedo che molte ci stanno tornando, ma per motivi diversi. No, è una storia straordinaria – probabilmente la trasformazione più impressionante della storia umana. Ed è interessante sapere com’è iniziata: con l’apertura della Cina. Quando si parla di Cina, puoi dividere le persone in due categorie: quelli che non vogliono che diventi potente e quelli che accettano che lo sia, ma si chiedono a cosa verrà destinato quel potere. Ora, la prima categoria è piccola – e io sono profondamente in disaccordo con loro. La Cina ha tutto il diritto di essere una grande potenza: per la sua civiltà, la popolazione, l’economia, la tecnologia, e per quello che ha compiuto. Inoltre, dato che il mio istituto lavora in tanti paesi, vediamo che la Cina è il partner commerciale principale di quasi tutti – a parte il vicino più prossimo. In Africa, in Asia, in America Latina, la gente non vuole scegliere. Vogliono buoni rapporti con l’Occidente e con la Cina. Quindi credo che quella prima categoria sia piccola, e che vada sfidata. La Cina ha tutto il diritto di essere una potenza. La vera domanda è: come verrà usato questo potere? E io dico: dobbiamo essere forti abbastanza da affrontare qualunque cosa venga, ma dobbiamo essere anche coinvolti. Dobbiamo capire la Cina. Una delle cose più tristi del periodo dopo il mio incarico è quanto ho imparato. Avrei voluto sapere tutto questo mentre ero in carica. BB: Non è troppo tardi. Puoi candidarti di nuovo, sai. TB: Non darmi idee. Una delle cose che voglio che il mio istituto faccia è aiutare a vedere la Cina con gli occhi della Cina, non con quelli dell’Occidente. Per questo sono così favorevole all’engagement: persona a persona, non solo governo a governo o business a business. Verso la metà del secolo, ci saranno tre superpotenze: America, Cina e probabilmente India. Gli altri, se vorranno sedere a quel tavolo, dovranno unirsi. Per questo i blocchi regionali diventeranno cruciali: Europa, Asean, Mercosur. Un paese come il Regno Unito ha una storia di cui essere fiero, ma in termini di dimensioni, non può competere da solo. E un’altra cosa che ho imparato: la politica si basa sui valori, ma anche sul potere. E bisogna essere realistici. I giganti, se gli stai vicino, tendono a sedersi sopra di te o a calpestarti. Quindi se non vuoi essere calpestato, devi unirti agli altri. Per questo, nonostante le difficoltà, in Europa prevale la forza centripeta della necessità: che tu sia Germania, Italia, Francia, devi unirti per poter avere un dialogo alla pari. Questa è la via. Capire la Cina, restare coinvolti, non isolarla. Questa è la politica che sostengo. BB: Vediamo anche una transizione, tra i grandi attori globali, dal soft power all’hard power. E anche la costruzione di “sfere di interesse”. Penso tu abbia detto che per evitare tutto questo, serve il dialogo. Non si può restare osservatori. Bisogna... TB: ...avere dialogo e alleati. BB: Quanto ti preoccupa un mondo con meno multilateralismo e più sfere di influenza, più hard power? TB: Alla fine, l’hard power è una realtà. Ma l’interesse del mondo è avere un commercio equo, affrontare sfide come il clima, la salute globale. Abbiamo vissuto una pandemia. E io credo che – nonostante le differenze – dobbiamo cercare di risolvere i problemi, ma mantenere tutti coinvolti, in dialogo. Anche oggi, nonostante le tensioni tra Stati Uniti e Cina, e la diminuzione degli scambi, si parla comunque di centinaia di miliardi di dollari. Se non trovi strumenti per dialogare, ci sarai costretto, perché ne hai bisogno. Ecco perché l’Europa, oggi, ha una sfida enorme: deve diventare un attore credibile nel dialogo globale. E per farlo, deve rafforzarsi. BB: E se c’è pressione per scegliere tra Stati Uniti e Cina? Come può l’Europa evitare quel bivio? TB: La vera domanda è: come può l’Europa diventare forte in modo autonomo? Servono due cose: una forza militare e un’economia forte. Per la difesa europea, credo che oggi ci sia un’opportunità. Ne parlammo anni fa con il presidente francese. Non decollò, ma ora la consapevolezza è maggiore. Se c’è un conflitto alle porte, l’Europa deve poterlo influenzare militarmente. Poi, la chiave dell’economia oggi è la competitività. E la chiave della competitività è la tecnologia. In particolare l’intelligenza artificiale. E in questo, oggi, l’Europa non è protagonista. Ci sono gli Stati Uniti, c’è la Cina. L’Europa ha molto da recuperare. Il rapporto Draghi dice cose giuste. Alcuni sono scettici. Io credo che si possa fare. La domanda è: come diventa abbastanza forte da dialogare alla pari con America e Cina? Questa è la forza. BB: Hai detto che l’Europa ha già superato tante prove. La Grecia era quasi fallita, ora si finanzia a tassi bassi. La Spagna aveva il 40 per cento di disoccupazione giovanile, ora è la più dinamica dell’Ocse. L’euro era dato per spacciato. Oggi è la seconda valuta mondiale. L’Europa può farcela, anche con la guerra, la competitività, le nuove sfide globali? TB: Sì. È questa la grande sfida. Ma è vero, l’Europa viene spesso sottovalutata. Anche nel mio paese. Ma ha continuato a crescere. E ci sono altri paesi che vogliono ancora entrarvi. La vera domanda è: può diventare più forte di adesso? Dipende da difesa e tecnologia. E sì, può farcela. Ma servono decisioni difficili. In politica, tutti sognano di cambiare senza dolore. Ma non è mai stato possibile. Se vuoi cambiare, soffrirai. Quello che ho imparato – e che applico nell’Istituto – è che quando proponi un cambiamento, tutti dicono che è un disastro. Mentre lo fai, è un inferno. Quando è finito, vorresti aver fatto di più. L’Europa ha bisogno di grandi decisioni e di grande leadership. BB: Siamo quasi alla fine. Abbiamo parlato di un cessate il fuoco nelle ultime ore. Ma in Ucraina, ancora nessuno. Quando ci rivedremo al Davos estivo il prossimo anno, ci sarà ancora la guerra? O una soluzione? TB: Penso che una soluzione ci sia. Spero la troveremo. E credo che la Cina avrà un ruolo importante. Questa è stata una guerra catastrofica. I numeri delle vittime… sembrano da Prima guerra mondiale. E’ impensabile oggi. E ha anche cambiato la natura della guerra. La tecnologia è ormai il fattore centrale. Spero davvero che si possa arrivare a un accordo. Ma non sarà possibile se non si garantisce l’indipendenza dell’Ucraina. E se si pone fine alla guerra, bisogna evitare che riesploda. Le garanzie intorno a questo saranno fondamentali. BB: Ultima domanda, per chiudere guardando avanti. Tu e il tuo istituto state lavorando molto sulle tecnologie emergenti. C’è l’IA generativa, ma anche big data, robotica, spazio, biologia sintetica. E’ una rivoluzione in atto. Quanto è profondo questo cambiamento? È come la seconda rivoluzione industriale? Come può migliorare il mondo? TB: Sì, penso che sia una rivoluzione totale. E’ l’equivalente del XXI secolo della rivoluzione industriale del XIX. Cambierà tutto. Ed è difficile, perché i leader politici di oggi fanno fatica a comprenderla. Mi hanno chiesto tempo fa di tenere un discorso sulle criptovalute. Ho detto sì – errore. BB: Anch’io l’ho fatto. TB: Ho chiamato mio figlio maggiore, che lavora nella tecnologia, e gli ho detto: spiegami le criptovalute. Me le spiega. Gli rispondo: non ho capito nulla. Mi manda un libretto: “La guida per idioti alle criptovalute”. Non capisco nemmeno quello. La mattina del discorso lo richiamo e gli dico: “Ma ora che dico alla gente?”. E lui: “Di’ che sei malato”. Capisco perché i leader siano intimoriti. Ma credo sinceramente che sia una rivoluzione completa. Cambierà ogni cosa. I paesi e le aziende che l’abbracceranno, vinceranno. Gli altri resteranno indietro. E’ come la rivoluzione industriale. Se fossi al governo oggi, la mia missione più importante sarebbe questa. Perché può trasformare la sanità, l’istruzione, il funzionamento dello stato. Ed è la sola chiave per la produttività nel settore privato. Sarà in parte spaventosa, perché è una tecnologia di uso generale: può essere usata per il bene e per il male. Ma come comprendere, dominare e indirizzare la rivoluzione tecnologica è la più grande sfida di governo del XXI secolo. BB: Grazie. Grazie davvero, Sir Tony Blair, per essere stato con noi oggi pomeriggio. TB: Grazie a tutti. E’ stato un piacere. Grazie.
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