“La pace nella nostra Unione non può più essere data per scontata. Le prossime settimane e mesi saranno quelle del coraggio, il tempo delle illusioni è finito”. Il tono della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, al dibattito di Strasburgo sul futuro della difesa Ue è quello degli eventi solenni. Che la situazione sia grave è chiaro alla maggioranza delle forze europee, ma non tutti sembrano aver recepito il messaggio. A sostegno del piano ReArm Eu si schierano subito i popolari: "Dopo quello che è successo nello Studio Ovale" tra Trump e Zelensky "è evidente che ormai siamo da soli", attacca in aula il presidente del Ppe, Manfred Weber. "Certo, a me piacerebbe vedere delle truppe con la bandiera Ue, ma questo nel piano ancora non c'è. Il compito della nostra generazione sarà di creare una vera e propria unione della difesa, e il Ppe è pronto a fare la sua parte", sferza il bavarese. Il suo sostegno al piano non è però un sostegno a von der Leyen. Dalle parole di Weber, infatti, riemergono le antiche ruggini tra i due leader cristiano-democratici. “Nel caso in cui Trump ci inviti alla trattativa di pace, però, chi parlerà per l'Europa? Von der Leyen? Costa? Merz? Macron? In futuro dovranno essere i cittadini a eleggere il presidente della Commissione, abbiamo bisogno di guardare oltre, è il momento di pensare in grande", spiega Weber in un impeto federalista. Motore avanti tutta in direzione Kyiv anche per i Socialisti Ue, la cui capogruppo, Iratxe Garcia Perez, porta in aula uno dei discorsi più filo-ucraini della legislatura. "Non dobbiamo soltanto intervenire per consentire all'Ucraina di resistere, dobbiamo consentire all'Ucraina di vincere questa guerra e, per ottenerlo, abbiamo bisogno di azioni decise e coese. Con la resa di Kyiv alla Russia avremo perso una battaglia decisiva nei confronti della democrazia, battaglia che definisce e definirà il ventunesimo secolo. Come diceva Churchill a Chamberlain: due sono le scelte, fra la guerra e il disonore, ma se scegliamo il disonore avremo anche la guerra", sferza la socialista spagnola, mentre qualcuno scherza dagli scranni: “Ma è posseduta dallo spirito di Budanov?”. Proseguono le giravolte del lepenista Bardella, che lancia ami verso il centro per far dimenticare i passati putinisti del suo Rassemblement National. Quella del francese, questa volta, è una mano tesa verso Meloni, che non farà molto piacere all’alleato leghista: "L'organizzazione di un vertice della famiglia occidentale, un'idea proposta dal presidente del Consiglio italiano, potrebbe permetterci di definire chiaramente i nostri obiettivi per la sovranità dell'Ucraina". Il meloniano Procaccini, invece, vira verso un sì alle armi, ma a patto che “non sia una ripicca a Trump”. "Considerare ReArm Eu una sorta di rappresaglia contro Trump e gli Stati Uniti d'America è un errore tragico", spiega. "Investire sulla difesa e sicurezza, però, è un atto di dignità delle nostre nazioni e di rispetto per i nostri alleati internazionali". Per Procaccini l’occasione è ghiotta per tirare qualche bordata oltralpe. "Guardate l'ipocrisia delle importazioni europee di gas liquido dalla Russia, guidate dalla Francia. Soldi che Putin utilizza per farne missili con cui bombarda quotidianamente l'Ucraina. Quando Trump dice che l'Unione europea ha dato più soldi a Putin che a Zelensky, dice la pura verità". Parole che non passano inosservate alla liberale francese Valérie Hayer, che dal podio di Strasburgo rimanda le accuse al mittente, accusando il meloniano di “ripetere la propaganda di Trump e del Cremlino”. A corollario della giornata, poi, c’è il Conte Show. L’ex premier si siede in tribuna stampa a Strasburgo e mostra cartelli contro il riarmo, mentre il suo eurodeputato Danilo Della Valle prende la parola in Aula. Della Valle porta con sé una bandiera della pace che vorrebbe consegnare a von der Leyen, che nel frattempo, però, ha lasciato l’aula, fregando il desiderio di photo opportunity pentastellata. E anche qui qualcuno sorride: “Eh, mica son tutti Ciocca, lui aveva anni di allenamento”, scherzano dagli scranni leghisti, ricordando l’eurodeputato del Carroccio, celebre per le sue imperversate con tanto di cappi sventolati sotto al naso della presidente della Bce, Christine Lagarde, o buste d’insalata fatte piroettare davanti agli occhi di von der Leyen. Fuori dall’aula nel frattempo Conte rincara la dose: "Stiamo andando verso un'escalation militare. Oggi Ursula von der Leyen ci sta portando verso un’economia di guerra. Non voteremo la proposta di Ursula von der Leyen". Proprio riguardo alle posizioni in vista del voto sul testo sulla difesa Ue, che contiene il sostegno al piano di riarmo, i giochi sembrano ormai quasi fatti. Lega, M5s e Avs dovrebbero guidare il fronte del no. Orientati verso il sì, invece, gli eurodeputati di Forza Italia, in linea con il Ppe. Ancora indecisa, ma propensa a sostenere il testo, la delegazione di Fratelli d'Italia, che però spera di portare a casa l’approvazione della proposta di Meloni di cambiare il nome al piano Ue, da ReArm Europe a Defend Europe (certo, strano aver la fiamma tricolore nel simbolo e aver paura delle armi). A passi spediti verso l’implosione, invece, il Pd, dove l'anima riformista a guida Picierno-Gori lavora per portare la minoranza a votare sì al testo, peraltro sostenuto dall'intero Partito Socialista Europeo. Contrari, invece, gli indipendenti vicini alla segreteria, come Tarquinio e Strada, che sarebbero orientati a votare no in ogni caso. In cerca d’autore la corrente bonacciniana con in corso un ultimo tentativo del capodelegazione, Nicola Zingaretti, di mediare per portare i dem a una soluzione congiunta ed evitare la conta.
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