Tel Aviv. Remo Salman, 38 anni, è un israeliano di origine beduina che per anni ha lavorato nell’high tech. Fino a quando, dopo essere diventato padre, ha deciso di dedicarsi alla polizia investigativa: “Volevo fare qualcosa di utile per il mio paese”, spiega, in divisa, mostrando alle sue spalle la mappa interattiva dei kibbutz dell’Otef Gaza, quelli che sono stati tragicamente attaccati da Hamas il 7 ottobre. “Quando mi hanno chiesto di prestare servizio in occasione del Nova Music Festival ho storto il naso. Sono un padre di famiglia e detesto i turni notturni. Quello che non mi sarei mai immaginato, alle 6.29 di quel sabato mattina, è che sarebbe stato l’inizio di una battaglia durata 15 ore combattuta con una sola pistola, contro migliaia di terroristi armati di Rpg. Dopo 15 ore di combattimento sono finalmente tornato a casa e con me altri 200 ragazzi, i pochi sopravvissuti al massacro del Festival”. La prima volta che Remo racconta questa storia a un pubblico straniero è a Sydney, il 20 giugno del 2024. Non è passato nemmeno un anno dalla tragedia del 7 ottobre ma da allora Remo e altri superstiti vengono invitati dall’organizzazione no profit Israel-is a offrire la propria testimonianza a un pubblico internazionale, dai campus universitari alle aule parlamentari. Quel giorno c’era nel pubblico una sopravvissuta del Nova, Mazal Tazazo, 41 anni, di origine etiope, i cui genitori avevano ottenuto rifugio politico in Israele nel 1984, nel corso del sanguinoso conflitto tra Eritrea ad Etiopia: Mazal era scampata al massacro fingendosi morta e rimanendo immobile, per ore, accanto ai corpi di chi, come lei, aveva cercato di scappare dai terroristi. Mentre ascolta la storia di Remo, si rende conto, grazie alle accurate descrizioni fornite dal poliziotto, che a portarla in salvo è stato proprio lui. Anche lei era stata invitata in Australia a testimoniare il suo 7 ottobre. E, solo allora, aprendo un video dal suo cellulare – che aveva lasciato acceso mentre si fingeva morta, pensando: “Almeno, se mi dovessero uccidere, un giorno l’esercito troverà le prove di quello che è davvero accaduto” – riconosce la voce di Remo, che urla disperato: “Qualcuno è vivo? C’è qualcuno ancora vivo?”, correndo tra i cadaveri ammassati in quello che 15 ore prima era la pista da ballo del Nova. “Se non avessi registrato tutto – continua Mazal con le lacrime agli occhi – non avrei mai saputo che è stato Remo a salvare me e altre 200 vite.” Da allora dedica il suo tempo esclusivamente alla testimonianza: “Non potrò tornare alla mia vita di prima fino a quando non saranno tornati a casa tutti gli ostaggi e questa guerra sarà finita”. In questi due anni Mazal ha girato tutto il mondo e non sempre è stata accolta a braccia aperte: “Una delle esperienze più terribili sono stati i campus universitari americani dove, poiché sono di pelle nera, sono stata accusata da alcuni membri del movimento Black Life Matter di essere stata pagata dal governo israeliano. Se solo sapessero cosa ha fatto Israele per gli etiopi durante la guerra con l’Eritrea. Ho provato più volte a raccontare la mia storia personale, per spiegare la complessità di Israele, ma nessuno ha mai voluto darmi ascolto: per loro il solo fatto che io sia israeliana è una condanna a morte. Nonostante sia già stata condannata a morte da Hamas e sia sopravvissuta per miracolo, mi sento condannata, di nuovo, ogni giorno, da ragazzi della mia età, che ascoltano la mia musica e frequentano festival come il Nova, ma si rifiutano di ascoltare che, ogni giorno da due anni, i razzi di Hamas continuano a colpire i nostri kibbutz”. Persino nei giorni in cui il presidente americano Donald Trump ha offerto un piano per mettere fine a questo conflitto, racconta, indicando la stessa mappa che aveva mostrato precedentemente Remo. La mappa interattiva che mostra tutti i luoghi colpiti il 7 ottobre si trova a Sderot, presso lo “Sderot of Hope” Visitor Center: il primo memoriale “vivente” del 7 ottobre, ambizioso progetto multimediale realizzato in collaborazione con il Comune di Sderot – la cittadina maggiormente colpita nel corso dell’attacco di Hamas – assieme a Israel-is, l’organizzazione che da due anni si dedica al progetto di conservazione della memoria del sabato nero, di cui Mazal e Remo fanno parte. Lo scopo principale del centro è di mantenere il memoriale “vivo”, attraverso una tecnologia interattiva e costantemente aggiornata grazie al materiale (audio, video, e reperti forensi) raccolto dall’Idf, tra i sopravvissuti e tra gli ostaggi tornati a casa. Il ceo di Israel-is, Yotam Ivry, dice: “Ci consideriamo custodi e narratori di una memoria tragica nella storia di Israele. Ma all’interno di questa tragedia, raccontiamo anche la storia dello spirito incrollabile del nostro popolo”.
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