Nigel è uscito dal pub e come boiseries ormai preferisce quelle del bar di Mar-a-Lago. E’ lì che incontra i suoi amici, che si fa le foto con Elon Musk e Nick Candy, l’immobiliarista più spericolato di Londra insieme al fratello Chris e neo-tesoriere di Reform Uk, e che tesse relazioni internazionali sotto il leggendario ritratto di Donald Trump a metà tra Rebecca la prima moglie e il Vigo dei Carpazi di Ghostbusters. L’ottava o venticinquesima vita di Farage lo vede in grandissimo spolvero, più insidioso che mai proprio perché molto meno isolato che in passato, pronto ad attaccare il governo di Keir Starmer with a little help from my friends. “Se Trump e Musk mi sosterranno in vista del 2029? Be’, gli amici servono a questo o no?”, ha gongolato, spiegando quanto Musk gli copra le spalle, lo sostenga. Non solo il vento del populismo è ormai una bora triestina di quelle da attaccarsi ai pali, ma nel mondo anglosassone l’Inghilterra è la casa madre, ha un valore simbolico alto e genera nostalgie e fantasie, oltre al fatto che si è già dimostrata capace di sorprese come la Brexit. L’ha detto pure il miliardario consulente della Casa Bianca Musk, “siete il paese madre dell’intero mondo anglofono, questo conta davvero”, anche per lui, anche da un punto di vista personale. Ai tempi della morte della Iron lady, il 9 aprile del 2013, raccontò di una sua nonna di Liverpool che anche dopo anni in Sudafrica si alzava ogni volta che compariva la regina in televisione, e che gli ricordava tanto Margaret Thatcher, “tosta, ma ragionevole e giusta, proprio come la mia nonnina inglese”. Per il resto l’anglofilia di Musk finora si era manifestata con una breve infatuazione per il mite ex premier conservatore Rishi Sunak, con cui aveva condiviso un lungo e irrituale dialogo sull’intelligenza artificiale, e nel dare sistematicamente addosso al governo di Keir Starmer, con una foga implacabile, tra discorsi di “guerra civile” e parole incendiarie all’indomani dell’attacco di Southport in cui persero la vita tre bambine, quando il paese era scosso da riots violenti, mentre ora c’è un passo in più: si favoleggia di un bell’assegno che permetterà a Reform Uk di lavorare ai fianchi il Labour e soprattutto i Tory per i prossimi cinque anni. Il Sunday Times ha fatto tremare i polsi all’establishment parlando di 100 milioni di dollari da spendere tutti in campagna permanente, slogan, presenza sul territorio. Il “pagamento del fanculo a Starmer”, era stato soprannominato. Meno della metà dei 250 milioni dati a Trump e il doppio di quello che hanno speso tutti i partiti insieme durante la campagna elettorale del 2024, e pazienza se da Reform dicono che si tratta di un dato “per gli allocchi”: qualunque aiuto di una certa magnitudine, vista la scaltrezza del finanziando e l’interventismo pervasivo del finanziatore, avrà una force de frappe mica da ridere. Intanto il Regno Unito si è anche interrogato su come sia possibile che uno straniero – Musk è cittadino sudafricano, canadese e statunitense – possa finanziare un partito politico britannico, scoprendo con orrore che basta avere delle attività nel paese per poterlo fare, con vincoli e condizioni che alla prova dei fatti aiutano, ma solo in parte. Tant’è che si parla di cambiare le regole, nel Labour è iniziato un tiepido dibattito. Una di queste regole è che nell’anno precedente a un’elezione ogni partito possa spendere solo 54 mila sterline per constituency, e siccome ce ne sono 632 alla fine non si possono avere più di 34 milioni. Solo che se Ukip è riuscito a fare la Brexit con due soli finanziatori importanti – Richard Tice e Arron Banks – fa venire i brividi pensare a quello che potrebbe succedere con più soldi: il partito sostiene di aver bisogno di appena 10 milioni l’anno per crescere. A maggio 2025 ci sono le elezioni locali, in ballo ci sono 2.240 seggi e il partito intende presentarsi al 90 per cento di questi, sperando di ottenere un sindaco e 200 o 300 seggi. Non siamo ancora ai livelli dello Ukip dei tempi d’oro, del 2016, ma Reform ha già 400 sedi nel paese e più di 100 mila tesserati e il progetto sembra avere un altro respiro, diventare una parte di un’internazionale populista meno frammentata di quella di cui era parte il suo predecessore. Si parla di 100 milioni di dollari da Musk per il partito di Farage, il “pagamento del fanculo a Starmer” E poi la battaglia ideologica non ha bisogno solo di campagne elettorali, ma anche di think tank, di stampa, di una presenza capillare sui social media che contano – Farage sta su TikTok, dove ha più di un milione di follower ed è molto attivo – e di creare un elettorato potenziale incuriosito, indignato, pronto a seguire fin nelle urne il partito di rottura. Reform Uk nei sondaggi sta un fiore: Ladbrokes dice che alle prossime elezioni è più probabile che vinca Farage rispetto ai Tory di Kemi Badenoch, anche perché se Donald Trump è materiale da Casa Bianca, perché l’ex banker ex eurodeputato non potrebbe essere materiale da Downing Street? La narrativa globale è cambiata, e Musk&Farage ne interpretano la volatilità, l’irrazionalità, senza nessuna sudditanza residua per ideologie, schemi e valori: se Ukip era il partito degli anziani insoddisfatti e marginalizzati dalla storia, Reform Uk può andare molto più lontano. I fatti di Magdeburgo hanno dimostrato ancora una volta, e se mai ce ne fosse stato bisogno, l’istinto a una lettura immediata dei fatti – ostinata, semplice, grottesca, pervasiva. “Solo AfD può salvare la Germania”, ha twittato Musk, uno che non ha avuto paura a difendere Tommy Robinson, la figura più nera dell’ultradestra inglese, dando a Olaf Scholz con piglio caratteristico del “cretino incompetente”. Curioso uso delle parole, l’asticella della competenza si è spostata, non ha più a che fare con il sapere ma con l’istinto, e l’importante è non sembrare mai, a nessun costo, uno che guarda alle sfumature, un burocrate. Musk è diventato il garante high tech, giovane e di successo del fatto che gli istinti più retrivi della vecchia Britain, ma anche di altri paesi, siano accettabilissimi. Si capisce perché Farage, invece di essere sommerso dall’oblio dopo una Brexit che certo non ha dato grandi risultati, stia vivendo una stagione d’oro: tra poco alla Casa Bianca tornerà uno meno istituzionale di lui, perché non dovrebbe sognare in grande, lui che è il gran maestro del disincanto nazionale e che ha anche messo a segno dei risultati non trascurabili in termini di populismo? Intanto è finalmente entrato a Westminster, che per decenni gli era stato inaccessibile – si era dovuto accontentare di Strasburgo, che però ha offerto un palcoscenico eccezionale per la sua oratoria efficace e quel suo personaggio così cliché, così efficacemente britannico. Ora il suo partito, Reform Uk, dopo che Ukip era imploso tra problemi di leadership e un comprensibile desiderio di farsi da parte durante gli anni del post referendum, quando il lieto fine della Brexit, un vero e proprio azzardo, sta al 18 per cento secondo la media dei sondaggi. Alle elezioni di luglio scorso ha preso il 14 per cento e ora c’è anche chi lo dà al 21 per cento, mentre Labour e Tory languiscono intorno al 26 per cento. Anche i Libdem sono in ripresa, il bipartitismo tradizionale è in difficoltà e anche se il sistema first past the post tende a proteggere i muri del Parlamento dagli intrusi, il partito ha comunque 5 seggi e soprattutto è arrivato secondo in altri 98 seggi, di cui 89 vinti dai laburisti, a riprova che è il partito di sinistra, con la sua vaga promessa di giustizia sociale e la sua presa sempre meno forte sulla working class, ad avercelo alle calcagna. Il tono della conversazione all’interno del partito del premier è cambiato, il rischio che anche a sinistra spunti un’alternativa populista è concreto, e il capo di gabinetto di Keir Starmer, Morgan McSweeney, sa benissimo che qualunque incursione nel mondo del woke e delle battaglie identitarie finirebbe malissimo e che la battaglia con Farage si gioca tutta sul paese reale e sull’economia, che però non sta dando i segni sperati. L’altro argomento delicato è quello ambientale, che il Labour ha cercato di spingere molto all’inizio e che invece Reform Uk cavalca come elemento di scontento, oltre all’immigrazione incontrollata, con il presidente del partito Zia Yusuf a dare un tocco internazionale al tutto. Ma le motivazioni di Musk potrebbero essere meno ideologiche di così e avere a che fare con la guerra che Ofcom, l’autorità per le comunicazioni, sta facendo con il suo Online Safety Act per costringere le piattaforme ad avere un maggiore controllo sui contenuti sotto minaccia di pesanti multe. Inoltre il Labour, e in particolare McSweeney (ma non manca qualche conservatore come Damian Collins), ha contribuito all’apertura del Centro per il contrasto dell’odio online, il Ccdh, che ha base negli Stati Uniti e che è una spina nel fianco per Musk, che gli ha fatto causa definendo “un ratto” Imran Ahmed, il suo fondatore. Le motivazioni di Musk potrebbero avere a che fare con la guerra che l’Autorità per le comunicazioni fa ai social Dopo una lunga e munifica stagione da sostenitore dei Tory, Nick Candy – che insieme al fratello Chris ha costruito tra le altre cose il palazzo più caro di Londra – ha abbracciato con convinzione l’impresa politica di Farage, forse anche per le immense possibilità di networking che a un name dropper della sua caratura non potevano sfuggire per nulla al mondo. Aria da ragazzo, capello color Albenliebe, sposato con una cantante influencer e modella australiana molto di destra, Holly Valance, per un attimo sembrava si fosse fatto tentare da Starmer, almeno stando a un articolo dell’Independent, prima di andare ad aiutare Reform a raccogliere “decine di milioni” di qualunque valuta si voglia generosamente donare. Del partito è tesoriere ma anche tesoro: Candy in passato ha dato 300 mila ai Tory e ha promesso un prestito a sette cifre per il suo nuovo partito. “E’ la serie A, si vedrà una rottura politica come non l’abbiamo mai vista prima”. La nuova leader dei conservatori, Kemi Badenoch, sta assistendo un po’ impotente a questa situazione, che la vede ancora poco pronta da un punto di vista ideologico: ConservativeHome a inizio dicembre ha fatto un delicato editoriale intitolato “Musk è il vero leader dell’opposizione?”. Rael Braverman, il marito di Suella, ex ministra dell’Interno e da tempo figura di riferimento per l’ala destra dei Tory, se n’è andato verso Reform, così come Andrea Jenkins e altre figure di semispicco. A questo asse populista transatlantico il governo laburista ha risposto con l’artiglieria pesante: ha nominato Peter Mandelson ambasciatore a Washington con la speranza che il Prince of Darkness usi le sue arti per insinuarsi nei corridoi del potere trumpiano, visto che è l’unico ad avere la risolutezza, e forse pure il cinismo, per avvicinarsi al presidente e a Musk usando l’arma di Nigel Farage. Già ha rilasciato dichiarazioni a destra e a manca per dire che il governo deve “ingoiare il suo orgoglio” e mostrarsi aperto. Dice che bisogna “raddoppiare gli sforzi” per dialogare. “Musk è una specie di fenomeno tecnologico, industriale e commerciale” e “sarebbe poco saggio, a mio avviso, che il Regno Unito lo ignorasse. Non si possono portare avanti queste diatribe. Non possiamo permettercelo. Dobbiamo provare e farlo avvenire il prima possibile”. Peccato che in America tutta questa disponibilità non sia stata accolta granché bene. Chris LaCivita, co-presidente della campagna di Trump, ha definito Mandelson “un imbecille assoluto” sui social media la settimana scorsa. Insomma, la mistica del Sinister Minister sopravvive forse solo nel Regno Unito, mentre altrove è solo visto come un relitto di epoca blairiana che sottovaluta il suo interlocutore. Al momento sembra tutto ostile, ma con il tempo bisognerà capire chi si sente l’apostolo di chi, e se tutta questa friendship possa durare nel tempo.
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