Vent'anni fa il grande allargamento dell'Unione Europea. Bilanci

01/05/2024 03:36 Il Foglio

Bruxelles. Oggi, mercoledì primo maggio, l'Unione Europea festeggerà il ventennale del grande allargamento del 2004. La guerra della Russia in Ucraina, la crescita dell'estrema destra prima delle elezioni europee, la deriva illiberale di Ungheria e Slovacchia hanno reso la festa molto sottotono. Il Parlamento europeo ha tenuto una cerimonia il 24 aprile, infilata nell'ultima sessione prima della fine della legislatura in mezzo a centinaia di voti, con un discorso poco ispirato della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. La presidenza belga dell'Ue lunedì ha invitato i ministri per gli Affari europei a una cerimonia celebrativa. Ieri c'è stata una discussione tra loro sulle elezioni apprese dall'allargamento del 2004, mentre von der Leyen ha pronunciato un discorso (annunciato solo ieri) a Praga. A Bruxelles la Commissione ha organizzato per oggi una “flashmob”: una manifestazione improvvisata per ricordare questo anniversario. È il sintomo di un pericolo. Che il successo del grande allargamento a dieci stati membri del 2004, quello che è servito a riunificare l'Europa dopo la separazione della Cortina di ferro, faccia soprattutto paura. Guardando al futuro e al prossimo grande allargamento è come se l'Ue avesse paura della sua più grande forza.   Se c'è una politica che ha dimostrato tutto il suo successo, sia politicamente sia economicamente, è l'adesione dei dieci paesi che un tempo venivano chiamati con un certo disprezzo “la Nuova Europa”. Il successo economico è evidente guardando ai dati. Venti anni fa, il grande interrogativo era quanto sarebbe costato far uscire una serie di paesi impoveriti da decenni di comunismo, quanti “idraulici polacchi” avrebbero rubato posti di lavoro in Francia, quanto ci avrebbero rimesso Spagna o Italia di fondi coesione. Invece, l'Ue ha trasformato i paesi Baltici nelle tigri europei. L'Ungheria, la Slovacchia e la Repubblica ceca sono diventate delle mini potenze industriali del mercato unico. La Polonia è diventata terra di opportunità. Anche “l'Ue dei quindici” ha potuto beneficiare di un enorme impulso interno. Le esportazioni spagnole verso i dieci sono raddoppiate. Gli scambi commerciali dell'Italia di beni con questi paesi è aumentato del 77 per cento. “Molti dubitavano della capacità dell'Ue di integrare popolazioni ed economie di più di 100 milioni di persone”, ha ricordato lunedì il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel. Invece, il risultato è stato “spettacolare”, ha detto Michel.   Secondo la Commissione, il Pil medio pro capite dei dieci paesi che hanno aderito nel 2004 è cresciuto dal 59 per cento della media dell’Ue all’81 per cento. L’Estonia ha registrato un tasso di crescita medio annuo del reddito nazionale lordo superiore all’8 per cento. Polonia, Slovacchia, Malta e Lettonia sono cresciute in media di oltre il 7 per cento. I salari reali sono raddoppiati tra il 2004 e il 2023. I livelli di povertà ed esclusione sociale sono diminuiti dal 37 per cento nel 2005 al 17 per cento nel 2020. Il numero di bambini a rischio di povertà è diminuito dal 41 per cento al 17 per cento. La percentuale di persone di età compresa tra 25 e 34 anni con un’istruzione terziaria è aumentata di quasi 20 punti percentuali. La “Nuova Europa” è agile, innovativa, intraprendente, giovane e brillante. Sicuramente più di una “Vecchia Europa” che appare sempre più appesantita da elite e popolazioni sempre più avverse al rischio.   Sul piano politico il bilancio può apparire meno positivo. L'Ungheria si è trasformata in un regime democratico illiberale dopo 14 anni di governo di Viktor Orban. Gli otto anni di governo del Partito Legge e Giustizia (PiS) in Polonia hanno eroso le fondamenta dello stato di diritto a un livello tale che il primo ministro, Donald Tusk, sta faticando a tornare a una democrazia liberale piena. La Slovacchia è ricaduta nelle mani di Robert Fico che, appena riconquistato il potere, sta smantellando la legislazione anti corruzione. L'argomento alla moda è che il grande allargamento del 2004 fosse stato precipitato per ragioni politiche e che le democrazie dei dieci nuovi entranti non fossero sufficientemente consolidate per gli standard dell'Ue. Oggi dunque se ne pagherebbe il prezzo.   La realtà è più complessa. La Polonia dimostra che le forze delle democrazie liberali possono riconquistare il potere, anche quando un regime illiberale ha preso il controllo delle redini dello stato per quasi un decennio. In Repubblica ceca Andrej Babiš non è diventato un Orban. Nei Baltici le forze politiche filo russe non sono riuscite a destabilizzare il corso occidentale dei loro governi pro europeo e filo atlantisti. La democrazia e lo stato di diritto, inoltre, sono sempre più fragili anche nella “Vecchia Europa”, sottoposti a costanti attacchi da parte di avversari interni ed esterni.   In realtà, il grande allargamento e l'Ue hanno permesso il consolidamento accelerato delle democrazie degli entranti. Basta guardare all'evoluzione dei paesi vicini, quelli rimasti fuori per scelta dell'Ue o per imperialismo della Russia, per averne la controprova. Le riforme nei paesi Balcani si sono arrestate quando l'Ue ha smesso di fare sul serio sulla loro adesione. Recep Tayyip Erdogan ha imboccato la strada della Turchia neo ottomana e illiberale quando ha capito che le porte dell'Ue di fatto erano chiuse. In Ucraina, Georgia e Moldavia, i leader pro russi, gli oligarchi e la corruzione hanno rialzato la testa ogni volta che l'Ue ha guardato più o meno consapevolmente altrove. La Bielorussia è una dittatura poverissima, oltre che un vassallo di Mosca.   L'allargamento è stata la vera arma del “soft power” dell'Ue. E lo è ancora. L'Ucraina resiste all'aggressione di Vladimir Putin grazie anche alla prospettiva di entrare nell'Ue. In Georgia i cittadini si ribellano al governo filo russo che approva una “legge russa” con le bandiere europee. La Moldavia vede nell'Ue la garanzia per liberarsi della minaccia russa. Nei Balcani occidentali, tra mille contraddizioni, la marcia verso l'Ue di Albania, Bosnia Erzegovina, Macedonia del nord, Montenegro e Serbia (in attesa del Kosovo) è ripartita e con essa alcune (troppo poche) riforme. Durante una conferenza a Bruxelles lunedì, la presidente della Moldavia, Maia Sandu, ha chiesto all'Ue di adottare “un bilancio per la pace, cioè un bilancio che faciliti l'allargamento dell'Unione”.   Il primo maggio 2004 non è stata “solo la nascita di un'Unione più ampia. È stata la nascita di una nuova era”, ha ricordato von der Leyen davanti al Parlamento europeo. “Era stata una notte di promesse, perché l'Europa è una promessa: la promessa che tutti gli europei possono essere padroni del proprio destino. La promessa di libertà e stabilità, pace e prosperità”, ha aggiunto la presidente della Commissione. Von der Leyen ha ragione. Come ha ragione quando dice che "oggi il desiderio di unire l'Europa e completare la nostra Unione è più importante che mai". Ma il desiderio è più forte oltre la linea di confine che divide l'Ue dai nuovi aspiranti entranti.   Da questo lato del confine si sentono già le voci di chi dice che l'Ue non sarà mai pronta ad accogliere altri otto nuovi membri e comunque non l'Ucraina perché è troppo grande. Ci sono già proteste per l'ingresso di prodotti agricoli ucraini e si fanno già i calcoli di quanto perderebbe l'Italia o l'Ungheria di fondi di coesione. La stessa von der Leyen ha scelto di fare del prossimo grande allargamento un processo burocratico. Nel giargone europeo si dice “processo basato sul merito”: un'infinita lista di riforme che devono essere realizzate una a una, verificate da un burocrate a Bruxelles e certificate all'unanimità da tutti gli stati membri. Von der Leyen rifiuta anche una nuova data “big bang”. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, invece, ha proposto il 2030. “L'allargamento è una pietra angolare della nostra strategia di sovranità”, ha detto Michel.   Il rischio è ricadere nell'apatia burocratica. Peggio ancora: il pericolo è usare l'apatia burocratica per nascondere la paura del proprio successo. Le conseguenze non sarebbero diverse da quelle che Michel ha evocato se l'Ue non avesse fatto la scelta strategica dell'allargamento venti anni fa. “Provate a immaginare per un momento come un'Ue più piccola e debole, con soli 15 stati membri, avrebbe fatto fronte alla guerra della Russia contro l'Ucraina? Una nuova Cortina di ferro nell'Est sarebbe emersa. La Russia avrebbe occupato in modo permanente questi paesi, sia ideologicamente sia politicamente. L'Est sarebbe caduto vittima del dominio e della soppressione della Russia”, ha detto Michel. “È agghiacciante da immaginare”. 

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